Riflessioni sul 25 Aprile: pacificare la memoria e guardare al futuro
di Antonio Rubino
La storia e la memoria sono come l'acqua e l'olio. Questo è il "problema" del 25 aprile. Non dovrebbe esistere un problema del 25 Aprile, ma l'enorme discussione che si apre su questa ricorrenza non è solo una "questione" di appartenenza politica, ma è figlia di questo derby scatenato tra "storia e memoria" (ne abbiamo parlato in un articolo su MinutiDiStoria)
"Storia e memoria non sono gemelle" (come afferma il prof. Alessandro Barbero), la memoria può essere pacificata, non può essere sempre condivisa.
La ricorrenza del 25 aprile riapre questo dibattito che ancora vede divisioni molto nette.
Non possiamo assistere a rivendicazioni di verità assolute basate sul fatto che esistono altri punti di vista. E' certo che è così. Esistevano i fascisti e vi furono i partigiani. Ed erano tutti italiani. Esistevano quelli che credettero nel fascismo, quelli che lo sconfessarono, quelli che lo combatterono. Tutti questi erano portatori di punti di vista diversi che coesistevano nell'Italia. Dal 1943 al 1945 c'è l'Italia della Resistenza, ma per una parte è anche quella della Repubblica di Salò, ma anche dell'occupazione tedesca, anche dei prigionieri, dei confinati, degli internati, dei bombardamenti alleati.
Il processo storico è sempre complesso e non ammette semplificazioni come quelle dei libri che pretendono di raccontare "verità negate". Esistono tante verità di tanti fatti storici ed esiste un esito di quelle vicende.
Se dovessimo seguire la "memoria", come potrebbe essere la storia scritta da una famiglia che racconta di un proprio parente prelevato dai partigiani e magari fucilato? Come sarebbe la storia se esaminata solo dal punto di vista del padre dei fratelli Cervi?
Allora la storia può interrogarsi sul valore della resistenza non potendo ottenere patenti di obiettività? Analizzando tutti i fatti e calandoli nei contesti, confrontando le fonti, lo storico può rendere conto alla ricerca della verità, non di una verità (ogni memoria di quei fatti contiene verità, ma la riscrittura della memoria è l'operazione più praticata dall'uomo).
Allora la storia può interrogarsi sul valore della resistenza non potendo ottenere patenti di obiettività? Analizzando tutti i fatti e calandoli nei contesti, confrontando le fonti, lo storico può rendere conto alla ricerca della verità, non di una verità (ogni memoria di quei fatti contiene verità, ma la riscrittura della memoria è l'operazione più praticata dall'uomo).
La storia deve considerare i fatti, deve valutarli tutti, deve tenere dentro tutti i punti di vista. Poi, può fare valutazioni (e liberamente posso dire: meglio che abbiano vinto i partigiani e gli alleati, penso che sia stata una gran cosa non avere più il fascismo o addirittura una occupazione della Germania di Hitler).
Il grande storico Marc Bloch, morto fucilato dai nazisti perché aveva preso parte alla resistenza in Francia, volle che sulla sua tomba fosse riportata la scritta "dilexit veritatem": cercò la verità.
La prima verità storica, forse scomoda, sulla Resistenza Italiana è che fu una guerra civile.
Nei documenti tra il '43 e il '45 tutti usano questa espressione: "guerra civile"[1]. Fu una guerra anche tra italiani e vide opporsi chi restò legato al fascismo, pur nella convinzione di combattere ancora per la Patria, chi nel fascismo non credeva più e voleva cambiare, chi voleva un'Italia nuova e democratica.
Il movimento della resistenza fu riconosciuto dall'unico Governo ufficiale di quel periodo, che poi si aprì anche ai partiti antifascisti.
Era un movimento essenzialmente composto da persone di ogni estrazione sociale e, soprattutto, da giovani italiani.
Una delle verità storiche, che spesso sfugge a chi propende per portare un solo punto di vista, è che il movimento della resistenza era fatto anche da molti soldati e ufficiali del Regio Esercito Italiano.
Un'altra verità, troppo spesso negata e altre volte enfatizzata, è che la Resistenza e le formazioni partigiane ebbero anche un peso militare determinante.
La "liberazione" fu operata e conclusa dagli alleati: questa è certamente una affermazione veritiera, ma lascia spazio a inutili luoghi comuni. I fatti dicono che le formazioni partigiane tennero impegnate nel nord Italia ben 7 divisioni tedesche. I partigiani, inferiori per numero e organizzazione, resero la vita impossibile ai tedeschi. A dirlo non è la storia scritta dai partigiani, ma i documenti lasciati dagli stessi ufficiali tedeschi. Il colonnello Eugen Dollmann, capo delle SS a Roma, afferma che la città eterna fu la capitale europea che diede più filo da torcere ai nazisti.
Il valore e il ruolo militare della resistenza fu determinante.
Il grande valore che lo storico deve riconoscere nello studiare la Resistenza Italiana è essenzialmente simbolico, ma straordinariamente concreto per il futuro dell'Italia.
L'Italia agli occhi degli alleati, dell'Europa e del Mondo era l'Italia fascista, probabilmente, anche dopo l'armistizio di Cassibile, una nazione sconfitta. Ma, tra il 1943 e il 1945 il valore della resistenza italiana cambia questa immagine. Sono ancora una volta i documenti a parlarne, non lasciando spazio ai revisionismi e ai processi delle intenzioni dei vari gruppi partigiani. Il Generale Alexander, capo delle forze alleate del Mediterraneo, affermò che aveva cominciato a rispettare gli Italiani quando a Roma, a via Rasella, in pieno centro città, un gruppo di giovani partigiani aveva osato sfidare un intero battaglione tedesco armato.
La Resistenza Italiana fa vedere agli occhi del mondo che tanti giovani italiani rischiano la vita per una nuova Italia libera dalla dittatura.
Un sacrificio indispensabile che ritroviamo vivo e concretamente positivo, carico di effetti reali, quando il Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, può rivolgere quel celebre discorso alla conferenza di Pace di Parigi del 1946, dinanzi alle Nazioni Unite che non ci vedevano più come l'Italia fascista e nemica:
Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l'essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.
[...] Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano, ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica
De Gasperi seppe pacificare la memoria.
Il 25 aprile è dunque la storia di chi oggi lo festeggia e di chi oggi, grazie a quegli avvenimenti, può legittimamente (in alcuni casi oltre il limite del legittimo) dissentire rispetto alla memoria. Ma la storia del 25 aprile deve riprendere dall'analisi dei fatti che seguirono a quella data. Non analisi di singoli episodi, ma la complessa, complicata e scomoda analisi di tutti i fatti: ecco perché la "STORIA è difficile".
C'è un modo per condividere la memoria del 25 aprile. Alla resistenza, ai partigiani, aderirono tutte le classi sociali. Dai giovani studenti ai contadini, dai nobili ai militari, dagli operai agli imprenditori. E non è vero, ad esempio, che fu solo una storia del nord. Sono tantissimi i meridionali che si unirono alla lotta della Resistenza.
Un esempio ci è fornito dalla consultazione di alcuni documenti del Ministero della Difesa presso l'Archivio Centrale dello Stato. L'esempio che propongo parla con i numeri: 211 tra i partigiani del Piemente (il fronte più denso della lotta) erano Lucani.
Tre erano miei concittadini, parto dai loro nomi per sentire ancora più vicina quella storia: Franco Lapadula, nato 1/6/1923, contadino, nome di battaglia Franco2; Michele Palermo, nato 12/6/1918, commerciante e caporale dell'Esercito Italiano; Antonio Petrocelli, nato 22/2/1923, carrettiere, caporale dell'Esercito Italiano, nome di Battaglia Bruno.
Oggi possiamo ben dire che opporsi al 25 aprile è una conquista del 25 aprile, quando si celebra la vittoria sulla dittatura con il carico di dolorose memorie di una guerra civile, con il carico di tante verità storiche che vanno ricondotte nella complessità della storia.
Oggi possiamo ben dire che per superare i luoghi comuni abbiamo bisogno della complessità della storia, unica strada per avere una memoria pacificata e guardare al futuro.
[1] C. Pavone, Una Guerra civile. Saggio storico sulla moralità della resistenza, Milano, Bollati Beringhieri, 1994.
Non ho voluto aggiungere molta bibliografia ma non esitare a chiedermi altri titoli. Mi permetto di consigliarti però un romanzo: B Fenoglio, Una Questione Privata.
Non ho voluto aggiungere molta bibliografia ma non esitare a chiedermi altri titoli. Mi permetto di consigliarti però un romanzo: B Fenoglio, Una Questione Privata.
Ha la data di oggi questo stupendo messaggio di un grande storico:
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=DuolTI3CsYc&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3Qumk1mY1l6qHOHbkFrBtQgnlzjvP4Dz5yO3ScLo7JYFKNU3QwmkzZVe0
Eccellente!
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