Pagine di santità recuperate: Beatrice Palmieri da Moliterno e Fra Francesco da Montesano.
di Antonio Rubino
Un manoscritto del 1766 tramanda importanti notizie biografiche di religiosi francescani morti in concetto di santità [1]. Alcune di queste notitie sono state sepolte dall'oblio nelle comunità dove queste persone avevano vissuto. Recuperarle permette non solo di ripristinare "pagine di santità", ma anche ricostruire spaccati di vita dei secoli passati.
Un manoscritto del 1766 tramanda importanti notizie biografiche di religiosi francescani morti in concetto di santità [1]. Alcune di queste notitie sono state sepolte dall'oblio nelle comunità dove queste persone avevano vissuto. Recuperarle permette non solo di ripristinare "pagine di santità", ma anche ricostruire spaccati di vita dei secoli passati.
In questo manoscritto troviamo due Notitie che riguardano la storia del
Convento di Santa Croce di Moliterno (Pz) che erano state completamente dimenticate.
Una è riferita ad un frate che visse e morì in questo convento nel corso del Seiecento, Fra Francesco da Montesano. L’esordio della descrizione del frate
colpisce molto:
«fu
religioso di molta perfetione, fu di molto credito presso il secolo. […] e mai
stava in ozio, anche quando era vecchio, ma o fatigava nell’orto, o
nell’oratione, o in altro impiego dell’ubbidienza».
L’incipit, prima ancora di esaminare la
figura di Fra Francesco, ci permette di ricostruire un pezzo della vita del convento, dove i frati oltre alla preghiera avevano i loro compiti. Potevamo incontrare muratori, artisti e falegnami; di Fra Francesco sappiamo che si
dedicava all’orto o ad altri impieghi che gli venivano assegnati. Leggiamo poi
del rapporto con il popolo dei frati francescani, trovando ancora una volta
confermata la sostanziale “simpatia” verso di loro.
Continuando
a leggere dal manoscritto del 1766, ricaviamo gli attributi di questo frate che
contribuirono senza dubbio a renderlo così amato:
«era poverissimo, pazientissimo, caritativo
con tutti, modesto nelle sue azioni, fu in gran grado dotato da Dio della
Grazie dell’Estasi».
Riguardo
a questo dono divino posseduto da Fra Francesco, leggiamo da una Cronaca seicentesca, opera di Bonaventura da Laurenzana, un aneddoto legato alle estasi di questo
frate che, nella vivacità della descrizione, mostra dei particolari utili alla
ricostruzione della biografia ed anche della vita dei conventi.
Fra
Francesco da Montesano, secondo la cronaca di Bonaventura è:
«huomo di molta
santità, humile, astinente, silentiario, orante, vigilante e d’ogni altra virtù
religiosa ripieno»[2]
I
toni di padre Bonaventura sono un tantino più celebrativi, cosa che spesso fa
dubitare di alcune sue ricostruzioni, ma riguardo alle estasi di Fra Francesco
varie fonti riportano gli aneddoti così come descritti anche da Bonaventura, il
quale però vi aggiunge coloriti passaggi che ne rendono la lettura
appassionante:
«Fra gli altri
doni che Dio gli concesse dopo l’haver molti anni faticato egli nella sua casa,
e dopo essersi molto tempo essercitato nelle rigorose penitenze, e
mortificazioni della sua carne, e nella santa contemplazione; una fu il tirarlo
a se più fiate con meravigliose estasi, e ratti, come moltissime volte in vari
luoghi si vidde».
Fra Francesco proveniva da un paese confinante con
Moliterno, ma prima di giungere nel convento di Santa Croce era stato in altri
luoghi francescani. I frati tra XVI e XVIII secolo potevano dimorare in più conventi, rispettando il voto di
obbedienza ai superiori. Obbedienza che fu tra le grandi virtù di Fra Francesco
da Montesano di cui si ricorda la sua permanenza nel convento di Salandra (Mt).
Proprio mentre si trovava in questo convento avviene uno degli episodi
maggiormente importanti della sua vita. Lo leggiamo seguendo il racconto di
Bonaventura:
«stando
questo buon frate nel convento della Salandra, giunse ivi il commissario Visitatore
d’essa Provincia, quale informatosi della vita di questo servo di Dio, gli fu
da tutti risposto essere un santo».
Il Visitatore, stando alla cronaca di Bonaventura,
intende approfondire la questione delle estasi di questo frate
«di
brutto aspetto ma di costumi santi, piacevole et affabile nel parlare».
Evidentemente dovette sollevarsi il dubbio che Fra
Francesco fingesse di andare in estasi per non impegnarsi nei lavori del convento,
infatti il Superiore, la sera stessa del suo arrivo a Salandra:
«in
pubblico Refettorio li fece un’aspra riprensione, e li comandò che esso solo
dovette fare tutti gli uffici della casa, come, Porta, Cannava, Cucina,
Infermeria e cerca; incaricando con molta premura il guardiano, che così
facesse puntualmente eseguire».
Membri eminenti dell'Ordine mettono alla prova il frate, ma divengono per noi preziosi testimoni. Fra Francesco viene caricato di tutte le incombenze del convento: tra il
fare il portinaio e il cucinare per gli altri, fra Francesco dovette trovare il
tempo anche di badare agli ammalati e cercare l’elemosina per il sostentamento
della casa.
Questa era la vita di un convento francescano della prima metà del
‘600.
Ma il frate caricato di tanti ordini non si lamentò,
bensì accettò tutto con grande letizia, come apprendiamo dalla vivace cronaca
seicentesca dalla quale continuiamo a leggere:
«accadde
la mattina seguente, che furono portati ai frati alcuni pulli, quali mentre da
lui si stavano spennanno per apparecchiarli, sentendo il segno della campana
per farsi l’oratione, lasciò il tutto imperfetto e la cucina aperta»[
e corse velocemente in Chiesa, si prostrò dinanzi
all’Altare del Santissimo Sacramento e proruppe in un grido:
«à,
à, à, amore, chi non t’amasse?»
e mentre così urlava si sollevò da terra
«circa
25 palmi in alto ed andò ad attaccarsi con le braccia alli piedi d’un Crocifisso
di rilievo, che posto ne stava sull’architravo d’essa Chiesa, e ciò fu alla
presenza delli Signori Duca, e Duchessa di detta Terra, e della loro Corte, e
d’altri Cittadini, essendo anche nel coro li frati».
E con i frati, nel coro, c’era anche il padre
Visitatore che, nel tumulto generale fu preso come gli altri da grande stupore
per l’evento straordinario. Si recò quindi da fra Francesco e gli chiese di
scendere di nuovo in terra e il buon frate, in segno di ubbidienza per il suo
superiore, discese.
Il racconto di Bonaventura sembra dunque concludersi
con una grande lezione, sia per il Visitatore che per noi lettori moderni,
forse poco pratici di umiltà.
Le estasi, i doni divini e i “costumi santi” di
questo frate iniziano ad essere conosciuti nell’ambito della Provincia e lo precedono
nei luoghi dove giunge: nel Convento di Santa Maria della Neve a Laurenzana e
poi nel Convento di Santa Croce a Moliterno.
Siamo intorno agli anni ’30 del ‘600 e il Convento
di Santa Croce, da poco edificato, accoglie questo frate dalle grandi virtù e,
ben presto, anche la storia di questo luogo si lega alle vicende straordinarie
di Francesco da Montesano.
«Stando
egli nel convento di Moliterno, sentendo leggere a mensa la vita di un Santo
della nostra Religione, fu dalla vehemenza dello Spirto, elevato in estasi, con
gli occhi rivolti al cielo, nel quale modo stette per un spatio d’un hora».
Un episodio intriso dello stile agiografico seicentesco narra di quando Fra Francesco si intratteneva nel chiostro a discutere con un gentiluomo di passaggio e cercava
di dissuaderlo nel cadere «nelle sozzure
della sensualità», si infervorò così tanto nel parlare dell’amore di Dio
che corse nella Chiesa dove
«con
le braccia aperte restò elevato in estasi».
Era ormai anziano il buon frate quando giunse a
Moliterno, secondo quando riportato nella Breve
enarratione [3],
aveva indossato l’abito francescano per 40 anni, da semplice fratello laico. Anche
se anziano, non era mai ozioso ma sempre attivo nella semplice vita quotidiana
del convento, nonché come maestro dei novizi e dei laici per la sua grande
affabilità nel parlare sempre di Dio.
L’umile Fra Francesco entrò con la sua semplicità nella storia del francescanesimo
lucano e di Moliterno. In questo paese fu accolto ed amato, addirittura
«i
popoli di detta terra se l’affettionarono di maniera per il suo buon esempio e
sante virtù che nell’hora della sua morte ciascuno stimava assai haver per sua
memoria e divotione uno grumo della sua corona o un poco di panno del suo
habito e infine alcune coselle che fusse tolta da lui per minima che fusse».
Il senso di devozione verso Fra Francesco che emerge
da queste righe è fondamentale per comprendere l’amore del popolo verso alcune
figure francescane.
Storie come quelle di Fra Francesco recuperate dall’oblio riaccendono la luce su alcuni aspetti importanti soprattutto della storia della devozione popolare. Infatti, fra Francesco «morì come
appunto era vissuto» nel convento di Santa Croce di Moliterno il 21 marzo del
1638, acclamato come santo e venerato grandemente dopo la sua morte.
L’acclamazione di santità e la venerazione per il
frate di Montesano era tale che alla sua morte l’Arciprete del tempo, Don
Giovanni Parisi,
«li
fece fabbricare una cassa di legno, nella quale fu riposto il suo venerabil
corpo nella sepoltura dei frati».
Fu venerato per molti anni a Moliterno come Servo di
Dio e leggiamo nel Ristretto che di questo frate si leggono notizie in alcune «fedi autentiche» e
alcuni manoscritti che parlano anche di miracoli operati da Dio per
mezzo di questo frate, sepolto ancora oggi nella Chiesa di Santa Croce di Moliterno.
Così come è sepolta nella Chiesa di Santa Croce una
donna di grandi virtù. Beatrice Palmieri da Moliterno, morta in concetto di santità, nata e
vissuta in questa terra e della quale conosciamo alcuni elementi biografici
molto significativi ed anche l’ubicazione della sua sepoltura nella chiesa.
La storia della Serva di Dio Beatrice Palmieri da
Moliterno, purtroppo anch’essa dimenticata nel corso dei secoli come quella di Fra
Francesco, racconta ancora di una grande venerazione ricevuta in vita e dopo la sua morte per la sua fama di
santità.
Durante la sua vita Beatrice Palmieri fu molto amata
e, dopo la sua morte, da diversi posti della Val d’Agri giunsero persone in
pellegrinaggio alla sua tomba. Riannodare i fili della memoria serve non solo a
far luce sulla storia di una donna che condusse una vita esemplare e morì in
concetto di santità, ma anche a fornire un contributo alla storia generale
religiosa e sociale lucana.
Leggiamo nel Ristretto che Beatrice Palmieri era sorella del Terz’Ordine Francescano. Già nella prima metà del ‘600 era attiva una
comunità di terziari attorno al Convento francescano.
Beatrice nacque a Moliterno intorno all’anno 1637 e
«dimorò
da religiosa in sua casa. Per le sue rare virtù di pazienza, astinenza ed
orazione era tenuta in gran concetto da tutto il popolo».
Ancora una volta ricorre questo elemento di
riverenza del popolo, in questo caso per una donna che aveva scelto di vivere
una vita religiosa, ma anche in questo caso una donna del popolo amata dal
popolo. È questo l’elemento ricorrente, l’origine di queste figure così amate
che condividevano con gli umili diversi aspetti della vita quotidiana ma
che si distinguevano per le loro virtù che le rendevano degne di amore e
venerazione.
Del rispetto dei cittadini di Moliterno per questa donna
leggiamo anche nella Cronaca di Bonaventura da Laurenzana che, in questo caso,
sembra essere davvero una fonte privilegiata, in quanto apprendiamo da un
Leggendario Francescano[4]
del 1722 che padre Bonaventura fu confessore di Beatrice Palmieri e conosceva i
fatti narrati personalmente.
La terziaria francescana era figlia di Andrea
Palmieri e Lisa Torraca, anch’essi moliternesi
«quali
benché d’humile conditione fussero, furono nondimeno d’honeste fameglie e
timorati di Dio, come dal frutto che produssero può argomentarsi».
Beatrice, figlia di quel "popolo minuto" che era la
classe sociale preponderante nei comuni della Provincia nella metà del ‘600,
attirò la stima dei suoi concittadini ed ebbe particolare riverenza perché le
veniva riconosciuto un dono straordinario, quello della profezia. Pensando alla
concezione religiosa del contadino del sud nel XVII secolo, spesso si è portati
addirittura a pensare che era diffusa una confusione tra riti magici e
religione, per cui potendo vedere con gli occhi di un contadino moliternese di
quel periodo le vicende della vita di Beatrice, avremmo contezza dello stupore,
dell’importanza e della devozione che questa donna fece scaturire.
Racconta la Cronaca di Bonaventura di Laurenzana che
la giovane Beatrice un giorno, recatasi in un luogo a raccogliere «delle fronde di celzi», fu presa da
grandissimi ed improvvisi dolori e rapita in un’estasi. La quindicenne Beatrice
da quel momento in poi restò inferma, per sempre costretta al letto per aver
perso l’uso delle gambe e afflitta da grandi dolori ma dimostrando
«sì
invitta patienza, che faceva veduta d’un altro Giob, benedicendo sempre il
Signore».
Viveva sopportando pazientemente la sua malattia che
la faceva apparire «quasi secca dalla
metà in giù» e martoriata da una serie di piaghe di cui cinque in particolare
la tormentavano più di altre e
«queste
erano da essa tenute in memoria delle cinque piaghe del Redentore, perciò non
volle mai che si serrassero tenendovi materia dentro per spazio di 33 anni,
quando per mezzo della morte temporale, con le luci del corpo si chiusero».
Viveva in continua contemplazione ma non in ozio,
lavorava come ricamatrice e insegnava quest’arte alle fanciulle di Moliterno,
alle quali oltre all’uso dell’ago insegnava il valore delle virtù cristiane. Un
elemento, questo, preziosissimo per aprire una finestra sulla vita quotidiana a in un paese lucano nel XVII secolo, quando era già viva la tradizione del “lavoro
dell’ago”, tramandato fino ai giorni nostri, con l’usanza per le giovani di
recarsi presso l’abitazione di una donna che fosse maestra di
quest’arte.
Della sua vita spirituale meglio di altri può
raccontarci quello che probabilmente fu il suo confessore; leggiamo dunque da
Bonaventura da Laurenzana:
«Nell’astinenza fu ammirabile, oltre li
digiuni ordinarij faceva, n’erano moltissimi in pane e acqua. Nel parlar di
Dio, e d’altre cose spirituali era efficacissima, come anche in consolare le
persone tribulate, ch’à lui per tal’effetto ricorrevano.
Fu dalli diabolici assalti
bersaglio, affatigandosi quei maligni in varie forme atterrirla per farla dalla
spirituale battaglia retrocedere, ma in vano, già che ella con tal mezo più
strettamente s’univa col suo Signore. Alcune volte procuravano atterrirla, con
farsi sotto spaventevoli forme vedere, come di serpe, nel qual modo al suo
braccio, e al collo se l’avviticchiavano, per il che ella si dava a vociferare,
ed a piangere, con spavento, e compassione anche de circostanti che l’udivano.
Altre volte facevano strepito con strascinare per dentro e fuori della sua
stanza pelle vaccine ruvide ».
Contemplazione, digiuni
e consolazione degli afflitti ma anche infermità patite con docilità e assalti
diabolici respinti con la forza spirituale di chi
«volle nella livrea dell’Ordine de’penitenti
di S.Francesco ruollarsi, per poter meglio con la protettione di sì S. Padre, e
colla scorta dè suoi figli, per il sentiero della virtù, più sicuramente
correre, come esemplarmente fece».
Gli episodi significativi della vita di
Beatrice lasciano al lettore di oggi diverse attestazioni di abitudini, stili di
vita, credenze e tradizioni della comunità di Moliterno. Immaginiamo la casa
della donna che, inferma nel suo letto, insegna l’arte del cucito alle
fanciulle del popolo, istituendo nella sua abitazione una sorta di catechismo
per queste ragazze che non ricevevano altra istruzione. Pensiamo al parlottio
dei popolani sulle lotte che la santa donna intratteneva con presenze
demoniache che, senza dubbio, spaventavano e stupivano i contemporanei. E poi
leggiamo di fatti che, così come narrati da Bonaventura, sono una cronaca di
vita di della metà del ‘600 e che per la loro unicità sono di grande
pregio storico e ci forniscono notizie di rilevanza sulle tradizioni storiche
del paese. Come quella della processione del Cristo morto nel giorno del Venerdi
Santo, tradizione che ancora oggi è viva e nel ‘600 era giù un’usanza
consolidata. Infatti, è durante questo giorno che avviene un evento
straordinario della vita di Beatrice Palmieri:
«Nel
Venerdi Santo, mentre si faceva la processione conforme al solito in sua Patria
stando agonizzando vicino alla sua casa una donna detta Santilia, ella vidde di
vicino dodeci Demonj vestiti, altri di roscio, ed altri da Chierici con le
Berrette piane, che gran strepito facevano; ella a compassione mossa, si fe
condurre in casa di quell’agonizzante, quale raccomandando caldamente al
Signore la consolava, ed esortava ad havere il Divino timore, e tanto quel
Santo esercizio s’accese, che molto sudò, e vedendo spariti quei maligni
spiriti, tutta consolata si fe in sua casa riportare»
La dovizia dei particolari, i nomi inseriti nei
racconti e le circostanze delle tradizioni che Bonaventura inserisce nel
racconto, rendono la sua biografia preziosa non solo per informazioni date ma
anche per un aspetto di veridicità che lo fa apparire davvero testimone dei
fatti raccontati.
Ma la eccezionalità della vita di Beatrice Palmieri
non manca di episodi che mostrano elementi di straordinarietà:
«Un’altra
fiata fu dalli Demonij presa, ed in folta siepe buttata, ove raccomandandosi al
glorioso Sant’Antonio da Vienne, detto da lei S. Antonio delle Tentationi, di
cui era molto divota, fu da quello soccorsa, e nel suo letticciolo riportata».
Bonaventura racconta di Beatrice, lasciando
davvero intendere di conoscerla e di sapere delle sue devozioni, dei suoi modi
di agire e parlare. Bonaventura da Laurenzana, autore della Cronaca sulla
Riforma, è un frate francescano riformato, che ebbe ruoli di prestigio nell'ordine fu postulatore della causa di beatificazione di Egidio da Laurenzana. Sappiamo che la Serva di Dio era
molto vicina ai frati di quest’ordine, la sua vita vissuta nel misticismo si
lega soprattutto sul piano spirituale a quella del convento. Leggiamo ancora da
Bonaventura che ella:
«desiderava
molto havere la presentia del suo P. Spirituale, perché all’entrare faceva
quello in sua casa, vedeva visibilmente uscire per la fenestra un’opaca ombra,
restando perciò la sua stanza illuminata, e purgata dall’ombra, che l’oscurava».
Non solo, la terziaria francescana Beatrice
desiderava la confessione molto spesso e vive tale dimensione della sua fede
nella misericordia di Dio con il sostegno dei suoi padri spirituali:
«tanto
viveva quieta quanto si confessava, ed hauria voluto confessarsi molte volte il
giorno, se dalla comodità, e volere dè Padri Spirituali li fusse stato permesso,
come faceva quando mendicato chi la conducesse in Chiesa, quivi trovava chi
l’ascoltasse»
Ed è rispetto a questa sua volontà di comunicarsi
spesso che scopriamo che l’autore della Cronaca da cui apprendiamo le notizie
su questa Serva di Dio moliternese fu il suo confessore:
«Era
tanto profonda nel parlare quando confessavasi, che il Confessore più delle
volte non l’intendeva, ed usava gran fatica in farla spiegare, come a me più
fiate accadde, e ciò era per la profonda mistica Teologica, che il Signore
infusa l’havea» .
Non è solo un racconto tramandato dal popolo quello
di Beatrice né si tratta del frutto della ricostruzione di un credulone; è il
suo confessore, un uomo dotto come Bonaventura a riportare la sua testimonianza
sulla vita di questa donna, raccontandone con naturalezza alcuni episodi che si
infarciscono di particolari che riportano alla quotidianità ed alle usanze di
quel tempo. Beatrice aveva visioni di Anime del Purgatorio e accade che
«con
grand’istanza pregò una volta sua madre (quale era in bassa fortuna) che in
tutti i modi procacciasse un carlino, quale havuto, lo diede ad un Sacerdote
per una Messa per quell’Anima, quale celebrata, l’apparve, ringratiandola della
carità fattali, come ella l’havea pregata, e che già se ne giva in Paradiso.»
Non mancano riferimenti ad altri luoghi di Moliterno
legati alla vita della pia donna francescana:
«Stando
una mattina questa Serva di Dio in oratione nella Chiesa dè Padri Domenicani
udendo il segno della campana, che si levava il Santissimo Sacramento della
Chiesa maggiore, tanto s’infervorò, che fu elevata in estasi, nella quale per
buon pezzo di tempo dallo Spirito del Signore fu trattenuta, con stupore ed
edificazione dè circostanti»
Mentre era ancora in vita, Beatrice Palmieri ottiene
grazie dal Signore per alcune persone che alle sue preghiere si raccomandano,
come nel caso di una donna
«che
s’era alle sue orationi raccomandata, ritornata a lei, disse: và in pace, che
già il Signore t’ha concesso la gratia, che bramavi, e così accadde».
Una donna che ottiene miracoli, che viene vista in
estasi, che conduce una vita di grande sofferenza con pazienza e virtù non
poteva che esser acclamata dal suo popolo come santa. Come sempre accade per
figure di tal genere, è il momento della morte corporale che assume importanza
nella vicenda biografica. Così è anche per Beatrice Palmieri che muore in Moliterno
il 5 novembre del 1678:
«con
l’occhi elevati, con far soleva quando qualche gran mistero contemplando stava;
col volto sereno, come fusse lietamente viva, e benché d’humile sangue fusse, e
d’anni 48 in circa, appariva nondimeno di sangue nobile nel sembiante, e di non
più che d’anni venti».
Il racconto sembra voler lasciare un messaggio
edificante, esemplare: dopo le sofferenze della vita terrena, la serenità della
vita eterna ringiovanisce il corpo martoriato dal dolore di questa donna che
sempre aveva vissuto in povertà e contemplazione. E come avviene sempre quando
muoiono persone in concetto di Santità, si susseguono eventi straordinari. Alla
morte di Beatrice Palmieri
«concorse
gran Popolo per baciare il suo corpo, associarlo alla sepoltura, ed havere
reliquia del suo habito, col quale Dio dimostrò la virtù della sue serve fedele».
Una gentildonna di Moliterno che aveva
perso l’appetito perché vittima di un maleficio, viene subito guarita ponendosi
addosso un pezzo dell’abito della Serva di Dio. Mentre
«nell’hora
del suo transito tutta risplendente, accompagnata da gran numero di Religiose
del suo Ordine, apparve ad una donna detta Isabella della Saponara, alla quale
come sua divota più volte era andata dalla sua Patria a visitarla, se l’era
raccomandata Beatrice, col dirli : recitasse per essa un Paternoster e un’Ave
Maria al preziosissimo Sangue di Christo, che ivi trovasi, e nell’apparitione
li disse: Isabella, governati, perché io adesso me ne vado in Paradiso, e ciò
detto sparve».
Beatrice ha dei devoti nei paesi limitrofi. Viene citata tale
Isabella di Saponara (odierna Grumento Nova) che si era recata a Moliterno in visita alla Serva di Dio e, questa, nel
momento della sua morte, le appare raccomandandole preghiere al Sangue di Cristo,
famosa reliquia della città di Saponara.
L’intreccio tra storia locale e storie locali
diviene fitto nel racconto della vita della Serva di Dio Beatrice Palmieri che
verrà inserita nel Martirologio Francescano che ne riporterà la memoria al
giorno 5 novembre[5].
Non è quindi un azzardo supporre che la sua tomba sia stata meta di devoti e
fedeli che si recavano nella Chiesa di Santa Croce per pregare presso la
sepoltura di Beatrice Palmieri che si trova presso l’altare di S.Antonio.
I profili di queste due figure permettono di
riportare alla luce una pagina significativa di storia religiosa, ci consentono di ricostruire e percorrere alcuni
sentieri che approfondiscono quel legame tra i francescani
ed il popolo, quello della devozione popolare, delle sue usanze e delle sue
tradizioni ed anche quello delle fonti di questa storia.
Le notizie che ci pervengono parlano di una memoria
e di una devozione che, nel corso dei secoli, si sono affievolite per una serie
di motivi. La chiusura del convento con le soppressioni del primo ‘800 ha
interrotto una continuità di tradizioni, tra cui quelle relative a Beatrice
Palmieri e Fra Francesco da Montesano. La dispersione degli archivi e il lungo
vuoto di presenza francescana, colmato soltanto nel 1937, hanno spezzato il
filo della memoria, ora da riprendere.
Una parte di questo articolo è un capitolo del mio libro A. Rubino, La Basilicata in età moderna: storia sociale e religiosa a Moliterno. Il Convento Santa Croce, Moliterno, Valentina Profidio Editore, 2014.
[1] Archivio Storico della Provincia Salernitanto-Lucana dei Frati Minori, Fondo Provincia Osservante e Riformata della Lucania o Basilicata, n.26. Ristretto della Provincia riformata di Basilicata in rapporto dei religiosi illustri che l’hanno decorata con dottrina e santità. Il manoscritto è una relazione mandata a Roma nel 1766 da padre Giovanni da
Pisticci che si basa essenzialmente sulle cosiddette “Fedi autentiche”, le
notizie circa la santità, pietà e dottrina e incarichi di frati eminenti. Si
tratta di una fonte abbastanza attendibile e che non usa toni apologetici come
è spesso per le vite dei santi, cosa che avvalora il pregio storico del
manoscritto.
[2] Bonaventura da Laurenzana, Cronoche della Riforma di Basilicata, Napoli, 1682,
p. 237
[3] Archivio Storico della Provincia Salernitanto-Lucana dei Frati Minori Fondo Provincia Osservante e Riformata della Lucania o Basilicata, n.37,
Breve enarratione (...), p. 217.
[4] Benedetto Mazzara, Leggendario Francescano, 1722, pp.
39-41.
[5] Beatrice Palmieri è riportata
nel Martirologio francescano del Padre Arturo da Monastero, verrà poi eliminata
nelle edizioni della fine del XIX secolo. Nel Leggendario Francescano del 1722 (Benedetto Mazzarra, 1722, pp. 39
– 41) al giorno 5 novembre viene riportata la memoria di Beatrice Palmieri con
notizie sulla sua vita riprese da Bonaventura da Laurenzana che viene qui
presentato come il confessore della Serva di Dio. Sempre al giorno 5 novembre
viene riportata la memoria di Beatrice Palmieri nell’opera L’anno Francescano del padre Fulgenzo Maria Riccardi di Torino.
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