Archivistica per tutti: cos'è l'ordinamento per materia ?
Chi ha avuto a che fare con il mondo degli archivi nella propria esperienza professionale sarà stato presumibilmente dissuaso dall’utilizzare il metodo per materia, finanche a rischio di finire al rogo su pubblica piazza. Ma quali sono i motivi per i quali questo criterio di ordinamento è bollato come anti-scientifico nella disciplina di settore?
Bisogna
anzitutto fare un passo indietro, accennando al contesto nel quale esso
cominciò a diffondersi notevolmente. A partire dal secolo XIX si assistette ad
un proliferarsi di istituti adibiti alla conservazione delle carte antiche in
quanto tali[3], non
più correlate esclusivamente ad un determinato interesse pratico o giuridico
come accadeva prevalentemente in passato: emersero prepotenti le esigenze di
studio della documentazione, concentrata nella propria integrità in un unico
luogo destinato alla ricerca storica. Ben presto si avvertì dunque l'esigenza di riordinare fondi provenienti da soggetti produttori
diversi, spesso soppressi e sostituiti da altri. Al cospetto di enormi masse
documentarie provenienti da più uffici, il collegamento coi quali avevano
spesso perduto, “sembrava naturale dare a quelle carte un ordine diverso da
quello che esse avevano avuto presso gli uffici produttori, riunendo insieme
quelle relative allo stesso argomento, qualunque ne fosse la provenienza[4]”.
A tal proposito, già dalla fine del secolo XVIII in alcuni stati della penisola
italiana si era provveduto a smembrare archivi di diversa provenienza,
utilizzando suddivisioni artificiose ai fini della loro riorganizzazione. Si
tratta di un modello basato solitamente sull'applicazione retrospettiva dei
moderni titolari di classificazione su complessi archivistici già costituiti in
origine con propri criteri, dando luogo al cosiddetto ordinamento per
materia[5].
L'ordinamento per materia di un archivio
(“archivio storico”) è apparentemente simile alla disposizione originaria per
materia di una registratura corrente (“archivio corrente”) e quindi, poiché
quest'ultima si dispone normalmente, sin dall'origine, a seconda della materia
trattata, sulla base di una tabella di classificazione o titolario, chi
considera “archivio” anche la registratura corrente e deposito (come avveniva
sino a pochi anni or sono da parte di tutta la dottrina archivistica italiana)
può essere portato ad applicare anche all'“archivio storico” un tipo di
ordinamento che, validissimo quale disposizione originaria delle carte nell'“archivio
corrente”, costituisce quale ordinamento dell'“archivio storico” il peggiore
dei mali[6].
A
volte il suo impiego è stato circoscritto al singolo fondo, ossia senza
promiscuità tra documenti di differente provenienza. Esso trae ispirazione dai
movimenti dell'Illuminismo e dell'Enciclopedia[7]
– oltre che dalla classificazione animale e vegetale ideata da Carlo Linneo
(1707-1778)[8] – in
base ai quali ci si proponeva di incasellare la totalità delle discipline in un
sistema generale, privo di barriere spazio-temporali, sciogliendo
nell’universalità ciò che era originariamente cosa organica. Oltre all’utilizzo
pregresso di schemi classificatori predeterminati esso può incentrarsi sulla
costituzione di un qualsiasi schema di voci, d'invenzione dell'ordinatore, che
si presuma possa offrire una risposta a qualunque domanda immaginabile. Il
risultato finale è lo scioglimento di qualsiasi legame giuridico,
amministrativo, economico e politico, in quanto sotto una determinata voce si
accumulano atti di provenienza ed età diverse, spesso legati a personaggi non
attinenti tra loro.
Francia
e Austria furono i paesi in cui l'ordinamento per materia ebbe la più vasta
diffusione. In Francia trovò la sua massima espressione nei cadres de
classement di inizio Ottocento,
in base ai quali i documenti dell'Archivio nazionale furono
riorganizzati per contenuto, non tenendo conto del relativo ufficio di
provenienza[9]. Ne venne
fuori un ordinamento documentario sulla falsariga di quello bibliografico,
probabilmente sulla scia di una concezione di similitudine tra archivi e
biblioteche, all'epoca diffusa. Il
cancelliere di Stato austriaco Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg (1711-1794),
estimatore dell’Enciclopedismo, prescrisse ripetutamente agli archivisti
milanesi (e a quelli viennesi presso l'Archivio imperiale) l’osservanza
dell’ordinamento per materia: fu l’Archivio di Stato di Milano il luogo della
sua più compiuta realizzazione, avvenuta nel secolo successivo per mano
dell’archivista Luca Peroni[10],
impiegatovi dal 1796 al 1832, in veste di direttore dal 1796 al 1799 e dal 1818
al 1832. L’esempio più pregante dell’attività svolta è costituito dai cosiddetti
“Atti di governo” – divenuti un'imponente miscellanea di circa 28.000 buste
(dal secolo XV in poi) – in cui sono stati ordinati per materia fondi
precedentemente omogenei, facendo ricorso a nuove categorie e sotto-categorie,
alfabeticamente strutturate. Cassese afferma, molto semplicemente, che
“l'Archivio di Stato di Milano è esempio tipico di come non va tenuto un
archivio[11]”.
Valenti definisce il metodo peroniano “contrario ai moderni principi
dell'archivistica, perché i suoi esiti sono risultati, e in gran parte
risultano ancora, controproducenti: rompere infatti per principio le
concrezioni originarie e isolare il singolo documento dal suo contesto
significa togliergli gran parte del proprio significato[12]”.
Alcuni recenti studi di Marco Bologna hanno in parte rivalutato l'operato di
Peroni, rilevando che questi non abbia adottato “materie astratte,
staccate dalla realtà operativa dell'autore della documentazione, oggetti
o voci più o meno generiche dedotte da uno schema irreale e riassuntivo
dell'azione umana”, bensì – come definiti da Peroni stesso – titoli “indotti
dalla reale sfera di competenza e d'attività dell'autore”, riferendosi dunque
agli “ambiti in cui quella stessa attività si concretizzava[13]”.
Bologna si mostra inoltre prudente su una netta correlazione – spesso data per
scontata – tra metodo peroniano ed Enciclopedismo[14],
convenendo invece sulla valenza illuministica del suo operato.
L'ordinamento per materia,
oltre al caso emblematico di Milano, fu applicato anche altrove in territorio
italiano: a Torino ad opera di Francesco Cullet dal 1707 al 1717 e, nel corso
dell’Ottocento, sotto la direzione di Nicomede Bianchi; a Mantova, dove l'Archivio
governativo, risalente al 1786, fu ordinato per materia nella seconda metà
del secolo XVIII; a Bologna, nel corso del secolo XVIII, tale ordinamento fu
circoscritto alle singole magistrature, attenendosi quindi al concetto di rispetto dei fondi; a Parma le
disposizioni in tema di archivi del primo governo borbonico (1749-1802)
previdero un piano di classi e sotto-classi per la destinazione di tutti i
documenti dell'archivio segreto; a
Firenze l'ordinamento per materia fu adoperato nei secoli XVIII-XIX per l'archivio
delle riformagioni, in cui erano confluiti numerosi fondi provenienti da
magistrature diverse; a Lucca fu adottato dal primo direttore del neo-istituito
Archivio di Stato (1804), Girolamo Tommasi, legato ancora alla cultura
settecentesca; a Siena l'archivio delle riformagioni conobbe un accenno
dell’applicazione del metodo negli anni 1770, per mano di Cesare Scali; a Roma
il suo utilizzo fu abituale per i decenni a cavallo dei secoli XIX e XX,
durante i quali l'Archivio di Stato fu diretto da alti funzionari
amministrativi, privi di competenza archivistica.
Ancora Bologna individua una moderna concezione
dell'ordinamento per materia, scevra da ogni nesso con quella settecentesca e
col metodo peroniano: se oggi si parla di un archivio ordinato per materia “si
intende dire che le pratiche sono state disposte secondo il loro oggetto e non
secondo l'ambito d'attività o il servizio entro il quale sono state prodotte
dal loro autore. Ciò comporta la ridefinizione della stessa metodologia
dell'ordinamento per materia in cui non si pone più il problema
dell'individuazione dei servizi o degli ambiti, ma solo quello
della definizione di una lunga casistica di oggetti e di argomenti
collegati tra loro solo da associazioni concettuali astratte o da nessi
utilitaristici e contingenti[15]”.
Più che un ordinamento archivistico, si tratta di un astratto assemblaggio di
elementi riconducibile al mondo dell'informatica e dei centri di
documentazione, dove non tener conto dei documenti ma solo delle informazioni[16]. Questa nuova formulazione del metodo per
materia deriverebbe dalle esigenze di ricerca di alcuni settori, in primis
quello della ricerca scientifica, nei quali assume un ruolo centrale
l'interesse per l'oggetto e le modalità di realizzazione a dispetto di quello
per le informazioni autoriali.
Si può ben dire che la formulazione attuale
del metodo per materia non riguardi più la sistemazione dei documenti, ma solo
quella delle informazioni che essi forniscono e queste informazioni non sono
presentate in relazione all'autore ed alle sue procedure formali d'azione, ma
solo all'oggetto della potenziale ricerca che può essere effettuata su di esse.
L'informazione è distinta, dissociata e staccata anche fisicamente dal
documento, al punto che spesso non è più nemmeno necessaria la conservazione
fisica di esso[17].
In conclusione, nella sua veste
tradizionale, l'applicazione del metodo per materia presuppone la distinzione
tra archivi in formazione e archivi già formati. I primi possono svilupparsi in
base all'utilità del produttore, eventualmente anche per materia: in tal caso,
paradossalmente, l'ordinamento per materia coincide con quello storico, in
quanto rispecchia la disposizione imposta dal soggetto produttore sulla base di
propri criteri di collocazione e rinvenimento. I secondi non si devono ordinare
in modo diverso da quello originario, pena la perdita del nesso logico che lega
i documenti tra loro (vincolo archivistico). Quest'ultima opzione, spesso
selezionata inconsapevolmente da riordinatori improvvisati – all'insegna
dell'errata convinzione di portare ordine tra le carte – in passato ha più
volte rappresentato una “committenza” da parte di chi esercitava il potere, che
in tal modo aspirava a “rimodellare il passato in funzione del presente, e
l'antico in funzione del moderno, riappropriandosi così di una tradizione
documentaria di esercizio del potere che, riproposta nel presente, poteva
costituire un'immagine del medesimo da trasmettere al futuro[18]”. Secondo
Zanni
Rosiello, la documentazione interessata da riordinamenti per materia “era usata
da parte di chi la deteneva soprattutto come memoria-autodocumentazione;
organizzarla secondo determinati ordini classificatori sembrava un modo pratico
per poterla, al momento opportuno, consultare. Era, detto in altre parole, un montaggio, più evidente e vistoso di altri, della
memoria documentaria, un montaggio che si riteneva razionale e funzionale
all'uso politico-amministrativo che di essa si intendeva o si presumeva fare[19]”. Bologna conferma che il
metodo per materia “viene applicato quasi sempre da tutti i governi che tendono
alla centralizzazione amministrativa ed alla gestione assoluta del potere,
mentre lo stesso metodo cade in disgrazia man mano che si verificano delle
condizioni politiche opposte”. L'ordinamento per materia risulta infatti
“segreto ed inaccessibile a chiunque non ne conosca a fondo l'unica sua chiave
di lettura, ossia il titolario: la consultazione di un fondo sistemato per
materia deve essere necessariamente autorizzata e guidata da chi possiede il
titolario. Ne consegue che anche la ricerca per scopi amministrativi
all'interno di un fondo per materia è di fatto sempre controllata e non libera,
mentre quella in un archivio storicamente disposto è autonomamente gestibile da
chi lo consulta, dato che non può essere segreta la sua chiave d'accesso”. La democraticità
del metodo storico è invece resa evidente “dalla sua accessibilità a chiunque
acquisisca una conoscenza di base della storia istituzionale ed anche per la
sua intrinseca capacità di istruire metodologicamente lo studioso che effettui
ricerche su archivi in tal modo disposti[20]”.
[1]L’articolo offre
degli spunti di riflessione, a fini divulgativi, per i non addetti ai lavori.
[2]Elio LODOLINI, Archivistica: principi e problemi, 14. ed., Milano,
Franco Angeli, 2011, p. 160.
[3]Ma già a partire dal XV secolo si
manifestarono i primi tentativi di riunire e conservare i documenti prodotti da
più uffici in un unico istituto: l'Archivio di Castel Sant'Angelo, fondato a
Roma da papa Sisto IV nella seconda metà del secolo XV; l'Archivio de la Corona
de Castilla, fondato a Simancas dal sovrano di Spagna Carlo V nel 1543;
l'Archivum Vaticanum, fondato a Roma da papa Paolo V nel 1610.
[4]Elio LODOLINI, Storia dell'archivistica
italiana, 6. ed., Milano, Franco Angeli, 2010, p. 142.
[5]La prima affermazione
teorica dell'ordinamento per materia si ebbe nel trattato di archivistica
francese di Le Moine, Diplomatique pratique ou traité de l'arrangement des
archives et trésor d'icelles, Metz, 1765.
[6]Elio LODOLINI, Archivistica: principi e problemi, 14. ed., Milano,
Franco Angeli, 2011, p. 159.
[7]Da menzionare la
pubblicazione dell'Encyclopédie da parte dei filosofi francesi Denis
Diderot e Jean Baptiste Le Rond d'Alembert, a partire dal 1751.
[8]Lo svedese Karl Linné
(italianizzato in Carlo Linneo) intorno al 1750 introdusse il sistema di
classificazione tuttora utilizzato dai biologi di tutto il mondo.
[9]Anche i
paesi soggetti alla Francia durante l'età napoleonica dovettero accettare i
principi dell'ordinamento per materia, ma non tutti li accolsero, cercando di
svincolarsi dalle disposizioni ricevute.
[10]Cassese afferma che
la vera paternità del metodo è da attribuire a Bartolomeo Sambrunico (1774),
mentre il Peroni si limitò a “portare qualche innovazione nei titoli, e il
sistema prese nome da lui perché egli, appunto con le sue innovazioni, mise
involontariamente in rilievo tutte le incongruenze” (Leopoldo CASSESE, Teorica e metodologia:
scritti editi e inediti di paleografia, diplomatica, archivistica e
biblioteconomia, a cura di Attilio Mauro Caproni, Salerno, Laveglia, 1980, p. 175). Bascapè
conferma la paternità del Sambrunico, constatando che il nome del discepolo
(Peroni) aveva finito per offuscare quello del suo maestro. Il Sambrunico, in
particolare – in qualità di direttore generale dell'Ufficio di registratura e
degli Archivi governativi – fu incaricato dal ministro austriaco Wilczeck di
formalizzare un piano per la sistemazione degli archivi delle pie fondazioni e
degli enti ecclesiastici milanesi. Il Sambrunico elaborò dunque un apposito Piano
di riordinazione (1787-1789) che il Peroni, a cui il Capitolo delle Quattro
Marie di Milano affidò i lavori, perfezionò e diffuse (Marco BASCAPÈ, L’origine del sistema di
ordinamento per “materie” adottato negli archivi delle opere pie milanesi,
in “Archivi per la storia”, VII/2 (1994)). Secondo D'Addario, invece, il metodo peroniano “avrebbe
tratto meglio la propria denominazione dal nome del ministro di Maria Teresa,
il principe di Kaunitz, che ne volle l'applicazione agli archivi conservati
negli Stati asburgici” (Arnaldo D'ADDARIO, Lezioni di archivistica, Bari, Adriatica, 1972, p. 15). Bologna,
concordando con gli studi di Alfio Rosario Natale, afferma che il metodo per
materia in Milano “è preesistente al Peroni, non è di provenienza francese, ma
asburgica e non riguarda solo gli archivi di governo, ma tutta la
documentazione di quell'aria storica” (Marco BOLOGNA, Il metodo peroniano e gli
"usi d'uffizio": note sull'ordinamento per materia dal XVIII al XX
secolo, in “Archivio Storico Lombardo: giornale della Società storica
lombarda”, dodicesima serie, IV (1997), p. 260).
[11]Leopoldo CASSESE, Teorica e metodologia:
scritti editi e inediti di paleografia, diplomatica, archivistica e
biblioteconomia, a cura di Attilio Mauro Caproni, Salerno, Laveglia, 1980, p. 176.
[12]Filippo VALENTI, Nozioni di base per
un'archivistica come euristica delle fonti documentarie: corso di archivistica
tenuto presso l'Università di Bologna, Facoltà di Lettere e filosofia (corso di
laurea in Storia, indirizzo medievale), anno accademico 1975/1976, a cura
di Gabriele Fabbrici e Daniela Grana, in Filippo Valenti, Scritti e lezioni
di archivistica, diplomatica e storia istituzionale, a cura di Daniela
Grana, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2000, p. 156.
[13]Marco BOLOGNA, Il metodo peroniano e gli
"usi d'uffizio": note sull'ordinamento per materia dal XVIII al XX
secolo, in “Archivio Storico Lombardo: giornale della Società storica
lombarda”, dodicesima serie, IV (1997), pp.
247-248.
Da
segnalare che l'opera fondamentale di Luca Peroni, Prospetto di un nuovo
metodo di riordinazione degli archivi di governo, completata intorno 1820 e
mai pubblicata, venne distrutta nell'agosto 1943 dal bombardamento che colpì la
Città di Milano e il suo Archivio di Stato.
[14]Lo studioso sottolinea che
l'intento peroniano fosse quello di costruire un sistema organizzativo della
prassi amministrativa, non una summa della conoscenza.
[15]Marco BOLOGNA, Il metodo peroniano e gli
"usi d'uffizio": note sull'ordinamento per materia dal XVIII al XX
secolo, in “Archivio Storico Lombardo: giornale della Società storica
lombarda”, dodicesima serie, IV (1997), p. 274.
[16] Vi è una sensibile differenza tra quanto compiuto da Peroni e
quanto accade ora nei centri di documentazione: “l'oggetto del riordinamento
peroniano sono sempre i documenti nella loro realtà fenomenica di sinolo di
supporto e testo, mentre i centri di documentazione sono ormai puramente
virtuali, considerano esclusivamente il testo del documento, avulso dal suo
contesto storico, e ignorano, nella loro ondivaga sistemazione, i documenti
d'origine delle informazioni. Le materie di Peroni sono gli ambiti in cui si
era svolta in passato l'attività delle magistrature estinte. Nella sua
compilazione archivistica resta il riferimento all'attività ed alla storicità
di essa, anche se, chiaramente, si perde l'autore del documento e la
testimonianza della volontà di autodocumentarsi. I modelli odierni di
ordinamento per materia, invece, trascurano non solo l'autore della
documentazione, ma anche l'attività stessa e la sua storicità. Nel metodo
peroniano la soluzione di tale scompenso è oggi scontata e ampiamente studiata:
sarebbe bastato disgiungere concettualmente e operativamente il momento
dell'ordinamento da quello dell'inventariazione […]. Per le esigenze della
realtà attuale è, invece, necessario che l'inventario (o qualunque strumento
idoneo a far ritrovare le informazioni che servono) sia compilato coerentemente
alle più diverse istanze della ricerca, mentre la documentazione può essere
disposta in qualsiasi modo, sempre che sia proprio necessaria conservarla” (Marco BOLOGNA, Il metodo peroniano e
gli "usi d'uffizio": note sull'ordinamento per materia dal XVIII al
XX secolo, in “Archivio Storico Lombardo: giornale della Società storica
lombarda”, dodicesima serie, IV (1997),
p. 279).
[17]Ivi, p. 276.
[18] Isabella ZANNI ROSIELLO, Archivi e
memoria storica, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 74.
[19] Ivi, p. 65.
[20] Marco BOLOGNA, Il metodo peroniano e
gli "usi d'uffizio": note sull'ordinamento per materia dal XVIII al
XX secolo, in “Archivio Storico Lombardo: giornale della Società storica
lombarda”, dodicesima serie, IV (1997),
pp. 268-269.
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