L'Ordinamento degli Archivi secondo il principio di provenienza liberamente applicato
di Carmine Venezia - Direttore dell'Archivio di Stato di Caserta
Come illustrato nei precedenti articoli
pubblicati su Minuti di storia, il principio di provenienza consiste
nella ricostruzione della disposizione originaria della documentazione
archivistica e, di norma, rappresenta l'unico metodo scientifico da adottare
per l'ordinamento degli archivi. Nel dibattito dottrinario di settore si
teorizza anche su un'interpretazione alternativa di questo metodo, denominata principio
di provenienza liberamente applicato. Ma in cosa consiste?
A
tal proposito è necessario premettere che le metodologie archivistiche
italiane, così come affermatesi dall'inizio del secolo XIX – cioè da quando
sono stati introdotti il titolario di classificazione ed il registro di
protocollo – sono basate sulla classificazione dei documenti preventiva alla
loro trattazione da parte dell'ufficio, a differenza di quanto avviene in altri
paesi europei. In Francia, ad esempio, la classificazione delle pratiche avviene
presso gli uffici, dopo la conclusione delle pratiche stesse: a volte questa
attività può essere rinviata ai giorni in cui c'è meno lavoro, causando così
una pericolosa accumulazione delle pratiche. Il sistema tedesco
della registratur, risalente al secolo XVI, conferisce ai documenti un ordine
che nasce quando la pratica è chiusa e viene inviata “agli atti”. Il passaggio
dalla cancelleria all’ufficio di registratura non sempre si rivela immediato,
ma può anche avvenire dopo diversi giorni, per gruppi di pratiche. In ogni caso
la classificazione delle pratiche è sempre successiva alla trattazione delle
stesse[1].
Adolf Brenneke[2],
considerando la registratura non “come qualcosa di cresciuto in virtù di
processo naturale” ma come “opera imperfetta di uomini[3]”,
ha proposto di ordinare le carte secondo il principio di provenienza
liberamente applicato (freie provenienzprinzip): se l’archivio
rispecchia l’istituto, secondo la tesi cencettiana, ciò dovrebbe avvenire non
come l’istituto effettivamente era, ma come avrebbe dovuto essere, in
modo da correggere eventuali errori del registratore[4].
Il Brenneke riteneva che l'archivista dell'ultima fase non doveva essere
necessariamente succube dei metodi del registratore, potendo modificare
liberamente la struttura originaria al momento del riordinamento[5].
Le nostre moderne registrature non mostrano
più quella forma perfetta e quella struttura di precisione che le registrature
ministeriali prussiane del periodo aureo presentano. Noi non possiamo più
limitarci a lasciarle esistere nella forma in cui si trovano o restaurarle
semplicemente, ma dobbiamo prenderci la libertà di riformarle radicalmente.
Perciò ci siamo in realtà allontanati, nella pratica, già da tempo,
dall'originario principio della registratura, quale era stato formulato nel
1881, e siamo pervenuti ad un principio della provenienza liberamente
applicato, che tuttavia non ha ancora trovato una formulazione ed una
giustificazione sul piano teorico. […] Il <principio della provenienza
liberamente applicato>, come noi lo intendiamo, è per noi non una ricetta
bella e pronta, né uno schema di classificazione, né la giustificazione di
un'operazione di semplice restauro, che avvilisce l'archivista al rango di
<prolungamento del registratore>, ma un principio generale, dal quale
deriviamo le nostre norme. […] Il nostro compito non è di conservare ad ogni
costo <registrature> e così conservare per sempre delle formazioni dovute
al caso e forse mostruose, ma di formare organicamente dei <corpi
archivistici>. Così l'attività dell'archivista, che per gli olandesi non era
più che quella di un semplice restauratore, diventa una funzione creativa; si
tratta di saper captare dal fondo, con artistica capacità di immedesimazione,
le segrete leggi del suo divenire e del suo crescere e di saperle esprimere poi
in estrinsecazioni morfologiche[6].
A tal proposito gli archivisti olandesi, precedentemente
al Brenneke, avevano osservato che “i conservatori contemporanei conoscevano di
sicuro molto meglio di noi le caratteristiche del loro archivio e le esigenze
della pratica”, dunque si può supporre che “queste loro regole siano migliori,
più concordanti colla qualità dell'archivio, che non quelle che noi forse
potremmo escogitare”. I tre studiosi ritengono “prudente” ricostruire
l'ordinamento originario in tutta la sua estensione e poi, se necessario,
“procedere ai miglioramenti o applicare ai documenti archivistici, il cui assetto
sia stato irrimediabilmente distrutto, quei concetti direttivi che risultino
dall'antico ordinamento[7]”.
Gli olandesi concludono che, nel caso le varie direzioni di un archivio non
avessero applicato correttamente i criteri di ordinamento archivistico che esse
stesse avevano elaborato, “tocca all'archivista attuale di fare ciò che
avrebbero dovuto fare le Direzioni precedenti, se avessero rilevato l'errore
accaduto: cioè toglierlo[8]”.
Una volta accadeva spesso
che, o per un processo, o per formare una raccolta di ante-atti, si toglieva
dalla serie dell'archivio, alla quale apparteneva, un documento e lo si
inseriva nel mazzo che in seguito si formava di atti processuali o di
ante-atti. Sarebbe stato senza dubbio conforme al buon ordinamento di rimettere
poi il documento al suo posto, ma ciò si è spesso trascurato; e l'omissione è
anzi stata così frequente, che si può dire che il documento fu il più delle
volte lasciato a bella posta nel nuovo incarto, che i conservatori
dell'archivio reputavano sarebbe stato poi consultato un maggior numero di
volte. Anche in tale caso, dunque, l'archivista deve riportare tale documento
nella serie a cui apparteneva; avrebbe dovuto già farlo la precedente Direzione
e mettere nel fascicolo formato in seguito una copia del documento o un rimando
alla serie che contiene il documento[9].
Emblematica in tal senso è l'analogia tra l'attività
dell'archivista e quella del paleontologo, impegnato a ricomporre lo scheletro
di un animale preistorico.
Se lo scienziato vuol
formarsi l'immagine dell'animale di cui ha ricollegato le ossa, segue in vero
con cura la costituzione generale del corpo e la forma delle ossa, ma non tien
conto della casuale circostanza che, per esempio, un piede dell'animale sia
cresciuto storpio per qualche rottura, o che manchi una costola. Così anche
l'archivista, quando abbia condotto a termine la ricostruzione dell'archivio
nella sua forma antica, può levare certe piccole anomalie, che renderebbero
difficile la consultazione dell'archivio e che sono dovute a sbagli di
segretari meno attenti; questo però a due condizioni, e cioè che l'archivista
si rassicuri bene: 1.° che colle sue modificazioni non sorgano altri difetti;
2.° che non vi sia stata una buona ragione per la collocazione apparentemente
sbagliata del documento, precisamente come il paleontologo può ritoccare lo
scheletro solo quando ciò facendo segue la natura stessa dell'organismo[10].
Il
principio di provenienza liberamente applicato è un metodo
organico-sistematico dedotto dall'analisi delle funzioni dell'ente, ricavando
l'ordine che meglio riflette, secondo il riordinatore, lo sviluppo organico
dell'attività dello stesso[11].
Una volta ricondotto alla registratura e non
alla cancelleria il primo ordinamento delle carte, non è più possibile
sostenere che errori, confusioni ed omissioni di classificazione siano la
conseguenza diretta di comportamenti posti in essere nella fase viva
dell’attività degli uffici. Venuta meno la contemporaneità fra azione
amministrativa e registratura – per cui la seconda presuppone addirittura
l’esaurimento della prima – l’errore del registratore si configura, molto
semplicemente, come un fatto di cattiva od omessa applicazione successiva di un
piano di classificazione, questo, sì, preesistente all’attività amministrativa.
Vista dunque nel suo specifico contesto, la posizione del Brenneke secondo la
quale la registratura è solo il prodotto fallibile e, quindi, perfettibile
dell’attività del registratore, non appare forse così paradossale come hanno sostenuto
i suoi critici[12].
Secondo
Carucci il principio teorizzato dal Brenneke è teso a creare una sintesi tra la
provenienza dei documenti e la loro materia[13],
privilegiando la comunione di contenuto di un complesso di documenti
prodotti da diversi enti, rispetto all'individualità di ogni ente che ha
prodotto documenti confluiti in quel complesso. Va però precisato che Brenneke ritiene possibile la comunione di
contenuto “solo quando, dietro i fondi, c'è realmente soltanto un unico soggetto
amministrativo, che con un'unica volontà e da un'unica mente fa procedere gli
affari”, individuando, nell'ideale “corpo archivistico”, una sintesi fra
provenienza e contenuto “sotto il predominio della provenienza[14]”.
Carucci descrive invece la creazione di un cosiddetto corpo archivistico[15]
autonomo, staccato dall’iniziale ufficio di provenienza, che prosegue il
suo sviluppo nonostante i molteplici cambiamenti dell’ufficio. Sottolinea
inoltre la continuità delle funzioni che contraddistingue questo metodo
rispetto all’individualità delle magistrature, muovendo da una esigenza di
creatività da parte dell’archivista, in contrapposizione ad un esclusivo
lavoro di ricostruzione storica. Viene considerata una metodologia alla quale
ricorrere nel caso si sia verificata nel tempo una commistione tra le carte di
enti diversi così complessa da rendere impossibile l’individuazione delle
provenienze[16].
Secondo chi scrive, questo metodo di
ordinamento costituisce in pratica la migliore giustificazione del quieta
non movere, dal momento che tendenzialmente la sedimentazione dei documenti
riflette più la continuità delle funzioni che l’individualità delle
magistrature, e anzi il problema archivistico-istituzionale di più difficile
soluzione è quello di studiare le singole magistrature nei loro rapporti di
interrelazione con le magistrature coeve. Va inoltre rilevato che la continuità
delle funzioni riflette piuttosto una continuità di esigenze della collettività
che non un’effettiva continuità nella natura e nelle caratteristiche delle
competenze: queste infatti possono mutare sia quando un ufficio è soppresso e
gliene subentra un altro, sia quando muta l’ordinamento istituzionale nel quale
opera l’ufficio, sia quando mutano le norme che ne regolano le competenze anche
se non sempre cambia l’organizzazione dell’ufficio[17].
Nei
casi in cui ci si trovi di fronte ad archivi completamente disordinati, per i
quali non emerga alcuna traccia dell’ordinamento originario, si può ricorrere
ad un criterio di ordinamento che riprende per certi aspetti quello di
provenienza liberamente applicato: studiando le funzioni e l’organizzazione
dell’ente il riordinatore può ipotizzare quale ordine esso avrebbe dovuto dare
al suo archivio se avesse provveduto a gestirlo razionalmente. Si procede
dunque ex novo alla creazione di fascicoli ai quali ricondurre la
documentazione sciolta e a quella di serie e sotto-serie quali articolazioni
dell’archivio. Tale criterio potrebbe comportare interventi arbitrari e
fuorvianti, rischiando di essere troppo determinato dalle istanze
storiografiche del periodo in cui opera il riordinatore[18].
Lodolini
si discosta dal Brenneke, non ritenendo ammissibile una ricostituzione
dell'ordine originario che sia temperata da correzioni o miglioramenti,
in quanto ogni archivista potrebbe in tal modo effettuare qualsiasi
cambiamento ed affermare che l'ordine originario fosse errato, basandosi su
opinioni personali e soggettive[19].
Ammettiamo pure che l'impiegato della
registratura, addetto alla registrazione dei documenti, abbia effettivamente lavorato
male, e che il modo più preciso di registrare i documenti non sia quello da lui
adottato, per ignoranza, per incapacità, per trascuratezza o per qualsiasi
altro motivo. Gli errori commessi da quell'impiegato fanno parte della
storia, cioè della vita dell'ente produttore delle carte, che ha funzionato ed
agito sulla base di quella organizzazione delle sue carte e non di altra,
migliore o peggiore non importa, ma comunque diversa. Cioè se le carte
dell'ente fossero disposte, al momento della loro nascita, in un determinato
ordine, l'ente funzionò nel modo conseguente a quella disposizione delle carte,
e non in un altro modo, che avrebbe potuto essere anche migliore, ma che
non fu. Se le carte erano disposte in maniera tale che l'utilizzazione ne era
difficile, l'ente funzionò con difficoltà; se per reperire i documenti
occorrenti alla trattazione di una pratica occorreva molto tempo, l'ente
funzionò con lentezza; se alcuni documenti, mal classificati, non vennero uniti
alle pratiche cui avrebbero dovuto appartenere, quelle pratiche furono trattate
in maniera incompleta. Se noi oggi migliorassimo – ammesso che ciò sia
effettivamente possibile – l'ordine dato alle carte al momento in cui ciascuna
di esse venne registrata e classificata nell'ufficio produttore, avremmo
commesso non solo un errore archivistico, ma persino un falso storico[20].
Secondo
Lodolini, dunque, un eventuale errore dell'ufficio di registrazione nella
classificazione di un documento potrebbe provocare l'espletamento di una
pratica in maniera diversa da come avrebbe dovuto essere espletata, vista la
mancata consultazione del documento fascicolato altrove. Una correzione della classificazione
potrebbe provocare un falso storico in quanto renderebbe incomprensibile
la decisione dell'autorità, la quale ha evidentemente agito senza la
consultazione del documento fascicolato altrove, ipotizzando, con l'ordinamento
corretto, che abbia commesso un abuso.
Anche
Valenti appare scettico nell'analisi del principio di provenienza
liberamente applicato giudicando questa teoria “debole e astratta”: pur
ammettendo che in molti casi particolari la sua applicazione sia consigliabile,
“non c'è dubbio che questo archivista che si sovrappone al registratore
(cioè all'archivista dell'archivio vivo), rifacendo in termini ideali e in base
ad un concetto filosofico di organicità il lavoro che quegli ha fatto
sotto la pressione delle pratiche esigenze dell'ente, ha in sé qualcosa di
peregrino, se non addirittura di paradossale[21]”.
Lo studioso sottolinea come tale principio andasse “oltre il metodo storico nel
porre la storia dell'ente produttore al centro dell'interesse dell'ordinatore”,
puntando invece a “ridurre un fondo a rispecchiare effettivamente la storia e
la struttura dell'istituto di fare davvero un organismo (archivkorper),
secondo la pretesa degli olandesi, di quello che in realtà altro non è che il risultato
di uno sviluppo per lo più occasionale (registratur); due cose a suo dire
affatto diverse, dal momento che, in genere, tale sviluppo è a sua volta il
riflesso, più che della storia dell'ente, di quella delle prassi archivistiche
succedutesi nel tempo, e dovute, oltre che ad innumerevoli fattori estrinseci,
al capriccio – per usare le sue parole – di un registratore che portava magari
la parrucca[22]”.
Si
conclude con questo contributo la serie di articoli per Minuti di storia
sui metodi di ordinamento degli archivi, che si spera possa aver soddisfatto le
esigenze conoscitive dei non addetti ai lavori.
Carmine Venezia[23]
BIBLIOGRAFIA
Augusto ANTONIELLA, Archivi moderni e
principi archivistici, in Studi in onore di Arnaldo D’Addario, a
cura di Luigi Borgia, Francesco De Luca, Paolo Viti, Raffaella Maria Zaccaria,
Lecce, Conte, 1995.
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Archivistica: contributo alla teoria ed alla storia archivistica europea, testo
redatto ed integrato da Wolfgang Leesch sulla base degli appunti presi alle
lezione tenute dell'Autore ed agli scritti lasciati dal medesimo, traduzione
italiana di Renato Perrella, Milano, Giuffré, 1968 (opera originale: Adolf Brenneke,
Archivkunde: ein beitrag zur theorie und geschichte
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XLI/1-2-3 (1981), pp. 38-56.
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Jole MAZZOLENI, Lezioni di
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Samuel MULLER Fz., Johan Adriaan FEITH,
Robert FRUIN Th. Az., Ordinamento e inventario degli Archivi, traduzione
libera con note di Giuseppe Bonelli e Giovanni Vittani, Torino, Unione
Tipografico-Editrice torinese, 1908 (opera originale: Samuel Muller Fz., Johan
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beschrivjen van archieven, Groningen, 1898).
Antonio
ROMITI, Il metodo storico e la teoria del vincolo unico “polimorfo”, in L’adozione
del metodo storico in Archivistica: origine, sviluppo, prospettive, seminario,
Salerno, 25 maggio 2007, a cura di Raffaella Maria Zaccaria, Salerno,
Laveglia & Carlone, 2009, pp. 25-47.
Filippo
VALENTI, A proposito della traduzione italiana dell’“Archivistica” di Adolf
Brenneke, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, XXIX/2 (1969), pp. 441-455.
[1]Lodolini, Archivistica,
14. ed., 2011. Lo studioso precisa che “in alcuni paesi che hanno derivato
dalla Germania l'uso della registratura, però, può accadere che l'ordine degli
atti sia stabilito non solo nella registratura medesima – che comprende gli
atti relativi ad affari già esauriti –, ma, prima ancora, nella cancelleria od
ufficio di trattazione degli affari di pertinenza di quel determinato ente od
amministrazione. Ciò sembra necessario, d'altra parte, quando il passaggio
delle pratiche dalla cancelleria alla registratura non è immediato, ma avviene
di tanto in tanto” (p. 48).
[2]Direttore
dell'Archivio di Stato di Hannover dal 1923 al 1930, anno in cui assunse la
direzione dell'Archivio di Stato di Berlino-Dahlem (Brenneke, Archivistica,
traduzione italiana di Perrella, 1968).
[3]Brenneke, Archivistica, traduzione
italiana di Perrella, 1968, p. 112.
[4]Ivi.
[5]Romiti, Il metodo storico e la
teoria del vincolo unico “polimorfo”, 2009.
[6]Brenneke, Archivistica,
traduzione italiana di Perrella, 1968, pp. 111-113.
[7]Muller, Feith, Fruin,
Ordinamento e Inventario degli Archivi, traduzione libera con note di Bonelli e Vittani, 1908, pp. 28, 30. Gli studiosi citano una pregnante discussione avvenuta in
seno alla Società degli archivisti olandesi, dalla quale emerse che “ci si deve
attenere non all'organizzazione dell'autorità, ma a quella dell'archivio,
perché è quasi inconcepibile che stia sostanzialmente in contraddizione colla
costituzione dell'autorità; alla lunga sarebbe diventato impossibile di riunire
i documenti ricevuti dai vari rami distinti dell'amministrazione; che, se anche
avesse a darsi questo caso disgraziato, pure sarebbe ancora tale antico
ordinamento quello che dovrebbe dare l'indirizzo per il nuovo”. E ancora: “Non
è infatti nostra intenzione di raggiungere teoricamente un'organizzazione
d'archivio, la quale concordi coll'antica costituzione dell'autorità, poiché
questa ci è relativamente indifferente”.
[8]Muller, Feith, Fruin,
Ordinamento e Inventario degli Archivi, traduzione libera con note di Bonelli e Vittani, 1908, p. 31. Secondo
Brenneke, “mentre gli olandesi considerano la registratura (non solo secondo il
contenuto, ma anche secondo la forma) come qualcosa di cresciuto in virtù di
processo naturale, che realizza quindi la perfezione dell'organismo naturale in
ogni grado del suo sviluppo, noi sappiamo invece che la formazione di ogni
registratura è opera imperfetta di uomini ma presenta tuttavia nella sua intima
essenza una vivente correlazione, impregnata di spirito unitario, tra il tutto,
che vive solo attraverso le sue membra e queste, che nel loro funzionamento sono
orientate verso il tutto; quella interazione, cioè, che caratterizza gli
organismi naturali. Ciò che per gli olandesi è una realtà, rappresenta invece a
nostro avviso solo una esigenza ideale per il registratore, come per
l'archivista: concretare cioè l'intrinseca legge naturale dell'organismo nella
struttura esterna della registratura” (Brenneke, Archivistica, traduzione
italiana di Perrella, 1968, p. 112).
[9]Muller, Feith, Fruin,
Ordinamento e Inventario degli Archivi, traduzione libera con note di Bonelli e Vittani, 1908, p. 31.
[10]Ivi, p. 35.
[11]Carucci, Le fonti
archivistiche, 1998.
[12]Antoniella, Archivi moderni e
principi archivistici, 1995, p. 25.
[13]In effetti Brenneke
analizza singolarmente i risultati dell'applicazione delle due casistiche: “Se
raggruppiamo gli atti secondo la loro comune provenienza dalla stessa
registratura, senza alcuna ripartizione in base al contenuto, perveniamo alla
forma di ordinamento della serie, nell'interno della quale i singoli pezzi di
solito sono disposti l'uno dopo l'altro secondo la successione cronologica.
Perveniamo cioè ad una forma di ordinamento, in base alla quale non occorre più
conoscere a fondo le congerie degli atti delle registrature moderne e dalla
quale ci si è allontanati perfino in quei luoghi dove essa era durata come
predominante fino all'età moderna (specialmente in Inghilterra). Solo là dove
essa si presenta spontaneamente, perché una divisione del contenuto è
impossibile (per es. rapporti di ambasciatori, verbali) tale forma di
ordinamento si conserva ancora oggi. Se si radunano invece gli atti secondo il
loro contenuto, senza alcun riguardo alla loro provenienza, allora si forma una
collezione, una forma cioè di ordinamento che noi oggi possiamo tollerare come
ancora valida solo nei casi in cui è andata perduta ogni coesione originaria
(singoli pezzi isolati)”. Lo studioso conclude che “appartenenza ad una
registratura e contenuto, provenienza ed oggetto, debbono essere ambedue tenute
presenti, quando noi organizziamo un archivio” (Brenneke, Archivistica,
traduzione italiana a cura di Perrella, 1968, p. 117).
[14] Ivi, p. 118.
[15]Espressione
utilizzata già dallo stesso Brenneke (Ivi, p. 111).
[16]Carucci, Le fonti
archivistiche, 1998.
[17]Ivi, p. 220.
[18]Ivi. Gli archivisti olandesi confermano la difficoltà di stabilire delle
regole quando manchi ogni traccia dell'ordinamento originario: “si deve badare
all'ampiezza e alla completezza del fondo archivistico, ma è soprattutto il
buon senso dell'archivista che deve saper giudicare” (Muller, Feith, Fruin,
Ordinamento e Inventario degli Archivi, traduzione di Bonelli, Vittani,
1908, pp. 42-43). Secondo Mazzoleni, qualora il materiale archivistico si
presenti “informe”, privo dunque di qualsiasi ordinamento, “l'applicabilità del
metodo storico spazia in tutte le sue possibilità, nell'identificare anzitutto
la provenienza del fondo, l'approssimativa epoca cronologica, la materia
predominante, il carattere pubblico o privato o di altro genere degli atti,
l'interezza o meno di un fondo ben costituito e l'eventualità che possano
crearsi gruppi di scritture diverse”. La studiosa sottolinea il decisivo
apporto “dell'intuito, della preparazione culturale e della metodicità che
l'ordinatore saprà applicare al suo lavoro”, oltre ad individuare “l'integrità
e l'intangibilità della serie costituita” come principi base da tener presente
(Mazzoleni, Lezioni di archivistica, 1962, p. 76).
[19]Lodolini, Questioni di base
dell'archivistica, 1970.
[20]Lodolini, L'ordinamento
dell'archivio, 1981, pp. 53-54. Secondo lo studioso, inoltre, “l'affermazione l'archivio rispecchia l'istituto
che lo ha prodotto (per Cencetti, anzi, l'archivio è l'istituto) è
sempre vera, in quanto esso rispecchia l'istituto come era effettivamente, cioè
ne rispecchia la storia in concreto, e non come avrebbe dovuto essere in
astratto se fossero state rispettate o applicate più esattamente talune norme
di classificazione e di organizzazione delle carte che non vennero rispettate o
furono applicate in maniera imprecisa nell'ufficio che lo produsse: anche negli
archivi la storia non si fa con i se” (p. 54).
[21]Valenti, A proposito della
traduzione dell'“Archivistica” di Adolf Brenneke, 1969, p. 451.
[22]Ivi, p. 450.
[23]Funzionario archivista presso
l'Archivio di Stato di Avellino (carmine.venezia@beniculturali.it).
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