Le strade dei briganti e il canestrato di Moliterno
Storia del tempo dei briganti in Basilicata per difendere sulle vie del formaggio, il già noto Canestrato di Moliterno
Basilicata,
gennaio 1862. I monti sono innevati e la coltre bianca lambisce i tetti dei
paesi più in alto. Le vallate sono gelide, i boschi inaccessibili. Le strade, le
mulattiere, le campagne, infestate dai briganti.
Il
freddo stringe in una morsa i paesi che tuttavia brulicano di vita, tra
speranze di nuove ere, vecchi retaggi e ataviche differenze di classe, la gente
di Lucania non è arresa, si muove. Si muove anche verso l’altra sponda
dell’Oceano, dove si crea una comunità enorme, che sarà più numerosa di quella
che resterà tra il Tirreno e lo Jonio. Ma i lucani non sono vinti, reagiscono
ai tempi, li vivono. Come è stato per l’Unità d’Italia. La prima scintilla fu
l’insurrezione lucana del 18 agosto 1860, prima di Garibaldi la Basilicata urlò
“Viva l’Italia e Vittorio Emanuele”.
Si è da
poco festeggiato l’arrivo del nuovo anno, il primo dopo l’Unità d’Italia. La
narrazione dei Savoia ha un accento piemontese, ma sono tanti gli intellettuali
con accento meridionale consapevoli che l’unità si è costruita a Mezzogiorno.
Perché ci hanno creduto e hanno combattuto.
Le terre
meridionali vivono forti tensioni che affiorano ovunque, in un intreccio fra annosi
conflitti sociali e spazi lasciati vuoti dalle istituzioni del nuovo stato. In
queste pieghe, si annidano resistenze di antico regime, borbonismo politico,
brigantaggio.
Il
fenomeno del banditismo non era nuovo da queste parti, ma dopo l'unità
d'Italia, molte regioni del paese riscoprono una sua recrudescenza.
In quel
gennaio del 1862 la gente nei paesi di Basilicata è spaventata, corrono già le voci
tremende sul generale dei briganti Carmine Crocco, si apprende degli assalti
sanguinari di Ninco Nanco, Borjes è già stato ucciso a Tagliacozzo. La Val
d’Agri scopre il terrore dei sequestri di persona, la banda di Angeloantonio Masini,
brigante di Marsicovetere, verrà accusata di 319 reati tra rapine, estorsioni,
sequestri, omicidi e azioni militari.
Per
contrastare il fenomeno, prima ancora dell’esercito regolare venne impiegata la
Guardia Nazionale, un corpo militare composto principalmente da volontari che
aveva il compito di mantenere l'ordine pubblico e garantire la sicurezza dei
cittadini. Volontari del posto, attori importanti di questa stagione di guerra
civile nel sud, sia sul piano della mobilitazione politica che su quello
operativo.
Il 10
gennaio del 1862, nelle fasi iniziali di questa Guerra per il Mezzogiorno tra
Borbonici e Unitari, tra Briganti e Guardia Nazionale, un gruppo di
imprenditori lucani, commercianti di formaggio di Moliterno, simbolo di quella
Basilicata che non è immobile, decide di rivolgersi al sindaco della cittadina
della Val d’Agri. Moliterno in quel 1862 è un paese di circa 7000 anime, il
caso che i commercianti intendono presentare alla massima autorità cittadina
riguarda la minaccia dei briganti per il loro bene più prezioso: il canestrato,
il formaggio.
Moliterno
in quel periodo è la regina dei commerci, posta a cerniera tra la Basilicata e
la Campania è una sorta di porta verso il Vallo di Diano e i traffici verso
Salerno e Napoli. Il prodotto maggiormente richiesto su quelle piazze è il
formaggio. Il canestrato di Moliterno già nel 1862 è un brand. Dai
pascoli della Lucania meridionale giunge a Moliterno per la stagionatura e poi
prende la strada della Campania, per i grandi mercati di Salerno e Napoli. Si
racconta ancora che molo Beverello, per i lucani, era “molo Moliterno”, per via
della presenza assidua di commercianti moliternesi a quell’imbarco, per la
quantità enorme di formaggio che dal molo napoletano partiva verso gli Stati
Uniti e l’America Latina.
Ed è per
difendere questo prodotto e questi commerci che un gruppo di 10 imprenditori si
rivolge al sindaco: quel 10 gennaio 1862 era l’ennesimo giorno nero per le loro
vetture, giunte vuote senza il carico del primo formaggio da stagionare nei
fondaci moliternesi. I briganti hanno fatto razzia lungo le strade che dalla
Valle del Sauro e dell’Agri portano a Moliterno.
I briganti incutono timore e spaventano, ma i moliternesi
dinanzi a questioni di commercio e di orgoglio cittadino al massimo hanno
prudenza e prontezza nella trattativa, difficilmente cedono alla paura. Così la
tensione per quell’ennesimo carico rubato finisce per stemperare il freddo di
gennaio. Tiberio Petruccelli, sindaco di Moliterno, non è personaggio
arrendevole, è uno che ha patito il carcere con i Borbone per i suoi ideali. Parente
di Ferdinando Petruccelli della Gattina, amico di Giacomo Racioppi e Francesco
Lovito, guidò il paese nei primi dieci anni dopo l’unità d’Italia con sagacia
e, secondo Valinoti Latorraca, fu un gentiluomo e patriota autentico, grande
moderatore delle asprezze delle leggi eccezionali. La viva voce di un
documento di archivio ci spiegherà queste doti di moderazione.
Il 10
gennaio 1862 Tiberio Petruccelli è il parafulmine della protesta dei
commercianti di formaggio. Il furto continuo del carico di latticini che dalle
zone del Sauro, del materano e delle coste joniche giunge per la stagionatura a
Moliterno, non avviene sul suo territorio ma ne colpisce l’economia. Egli ne è
consapevole, conosce i suoi concittadini e conosce benissimo il territorio. Ascolta
la protesta e condivide dati e informazioni. Approfondisce il caso. Studia le
carte, non ultima una circolare prefettizia che richiede un intensificarsi
delle perlustrazioni per catturare briganti. Poi, senza timori, prende carta e
penna e scrive al Prefetto di Basilicata, De Rolland.
«Signore,
Le accuso ricezione della circolare al margine segnata riguardante le
perlustrazioni da praticarsi ogni giorno da drappelli delle Guardie Nazionali
affinchè un brigante più non si trovi nella prossima Primavera. Su tale
proposito ardisco sommetterle quanto segue (…)».
Il
Sindaco di Moliterno è persona concreta, con garbo istituzionale, in un
italiano specchiato e con una chiarezza adamantina inizia ad esporre il
problema.
«In
questo circondario di Lagonegro non vi è che pochi di veri briganti (…) Gli
altri non sono che ladroncelli, pastori e contadini (…). I veri briganti divisi
in molti drappelli di dieci, undici e venti ognuno infestano ora il Circondario
di Matera lungo il Sauro fin oltre Montalbano, trovando nelle masserie poste in
quelle ricche campagne quanto ad essi abbisogna per vivere. Gravi danni così
cagionano ai privati, de’ quali danni sono vittime più che altri i cittadini di
questo Comune».
Il
prefetto che legge la missiva scritta da Moliterno è un piemontese, chiamato
dall’estremo nord a Potenza per sostituire proprio il moliternese Giacomo
Racioppi, amico del Sindaco. Ma Tiberio Petruccelli senza supponenze ha la
capacità di non apparire colui che sta spiegando le vicende del territorio a
chi, forse, le vive con distacco:
«Si dice che soldati in buon numero stiano in
Stigliano, Ferrandina, Montalbano, ed altrove;» queste
truppe escono alla mattina dai paesi «a suon di tromba e
tamburo battente, e vi ritornano la sera.» Secondo
Petruccelli tale tattica non giova, in quanto i briganti, avvisati dei vari
spostamenti, si danno alla macchia e si muovono a seconda di tali preannunciati
spostamenti. Tanto che «questo modo, se è vero, da occasione a
maligne interpretazioni sulla tattica delle truppe, e sulle loro intenzioni.»
La
stoccata politica è lanciata, ma al Sindaco sta a cuore l’interesse del suo
territorio. Espone il problema senza giri di parole, spiegando che «i
briganti sono perché trovano da vivere, ed il vitto attualmente possono
rinvenirlo unicamente nella marina; poiché qui nei nostri boschi e campagne ora
spopolati d’uomini e di animali non potrebbero durare due giorni soli,
respingendo nella fame ed il gelo.»
Ed è in
queste zone del materano, preferite dai briganti in inverno, che i moliternesi:
«vaste
difese hanno preso in fitto pei loro armenti, e tutta la produzione in
formaggio che si ha in quei luoghi qui si trasporta in parecchie migliaia di
cantaia, essendo questo formaggio oggetto di attivo e lucroso commercio per
questi cittadini che lo curano in Moliterno e ne fanno smercio sulle piazze di
Napoli e di Salerno.»
Un
documento eccezionale sul canestrato di Moliterno e la storia secolare di un
formaggio (oggi IGP) che trova la sua area di produzione nelle campagne del
materano.
Dunque,
il Sindaco di Moliterno non crede utile fare perlustrazioni con centinaia di
uomini per fermare qualche ladroncello, occorre allargare lo sguardo.
Anticipando per certi versi anche le tattiche di Pallavicini di Priola, propone
di rispondere alla guerriglia con agilità, piccoli drappelli mobili pronti ad
andare a stanare i briganti e fermarli li dove operano e aggrediscono.
«Io,
Signore, le sottometto un progetto che non solo parmi di facile attuazione, ma
mi sembra pure il migliore a distruggere i briganti (…) Si dovrebbe dunque
formare delle stazioni di forse da trenta a cinquanta uomini lungo la via del
Sauro e nelle campagne di Stigliano, Montalbano, Ferrandina, Craco, Pisticci e
Montescaglioso. (…) Son posti a poca distanza tra loro, e tale da incontrarsi
nelle perlustrazioni da praticarsi continuamente, e passarsi scambievole
soccorso. Dovrebbero adibirsi soldati regolari e guardia Nazionale da comuni
prossimi alle stazioni di cui conoscano le loro località.»
Il
progetto è chiaro, stazioni di posta nelle campagne dove avvengono le rapine,
lungo la strada dei commerci. Piccoli e agili drappelli che si incontrano e si
muovono di continuo, formati da uomini esperti delle armi ma anche del
territorio, con stazioni poco distanti tra loro. Si offrono persino i punti
precisi dove posizionare gli uomini, Tiberio Petruccelli ne fa un elenco
preciso, d’altronde chi meglio di un moliternese conosce quelle strade, le
strade del formaggio:
«Le
stazioni principali sarebbero Fabbricato De Fina al petto del Ciraso, Palazzo,
Taverna Nuova, Aciniello, Serra di Croce, Gannano tutte nel Sauro, Recoleta,
Scanzano, Andriace e Policoro in tenimento di Montalbano, S.Basile e S. Tedoro
in tenimento di Pisticci. Terra di Mare in quello di Bernalda. »
In quel
gennaio del 1862 il Sindaco di Moliterno ebbe l’ardire di sottomettere al
Prefetto venuto dal nord un progetto interessante per combattere il
brigantaggio. Non venne ascoltato, probabilmente. Non per questo i commercianti
di formaggio si arresero. Sarà la narrativa del Novecento a fare dei lucani un
popolo di vinti, forse per questo anche il commercio di formaggio va
spegnandosi nel secolo breve. In quel 1862, il Risorgimento ispiratosi tra
Torino e l’Europa si compiva a Mezzogiorno, coagulandosi tra atavici e atroci
conflitti, anche sulle vie del formaggio di Moliterno.
Il documento che fornisce l’occasione di scrivere questo articolo è una lettera conservata all’Archivio di Stato di Potenza. È stata segnalata all’autore dell’articolo dalla dott.ssa Rosanna Giudice dell’Università di Salerno che conduce un lavoro di ricerca sulla Guardia Nazionale nel meridione d’Italia.
Antonio Rubino
Articolo pubblicato su Ivl 24:
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