“Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato”: fonti per la storia delle epidemie ( I Parte)
di Antonella Pellettieri (dirigente di ricerca del CNR)
Abbati et conventui S. Marie de Bantia etc. Ex parte vestra fuit nobis humiliter supplicatum, ut cum dictum monasterium habeat quoddam casale parvulum, dictum Cervaritium, sytum in quadam valle multipliciter aeris corruptione infecta, ita quod maes et femine ac specialiter pueri ibidem existere nequeant tempore modico, quia oppressi egritudinibus moriantur, mutandi casale ipsum ad iactum unius lapidis superius propter aeris puritatem, licentiam vobis concedere de benignitate regia dignaremur. Nos enim vestris supplicationibus inclinati, plenam vobis de predictis tenore presentium concedimus potestatem, dummodo sytus, ubi dictum casale mutabitur, sit de tenimento seu territorio monasterii supradicti, et nulli nostrorum fidelium exinde iniuria seu preiudicium inferatur. Datum in Castris, in obsidione Lucerie XXI augusti, XII indictionis, regni nostri anno quinto[1].
Questo
documento di re Carlo I d’Angiò del 21 agosto 1269 è uno scrigno pieno di
informazioni sulla storia del territorio lucano in quel periodo. Trascritto da
Domenico Pannelli nel 1775, fu ripreso da Giustino Fortunato e commentato da Angelo
Celli, noto medico igienista e deputato vissuto a cavallo fra il XIX e il XX
secolo, “Non intende nulla della storia e del problema del Mezzogiorno chi
prescinde, anche solo in parte, da quella vera maledizione, che è, per l’Italia
Meridionale, la malaria: passa il terremoto, passa la peste – dice il contadino
del Mezzogiorno – ma la malaria non passa. I parassiti delle febbri malariche
si trovano per tutta la penisola; ma la loro diversa proporzione,
comparativamente a quelli della terzana lieve e la loro diversa virulenza fanno
sì che si possa dire col Fortunato, che vi sono due Italie malariche, l’una al
nord l’altra al sud della linea isotermica +15°, la quale va lungo il littorale
toscano, scende per l’Appennino abruzzese o risale al promontorio d’Ancona,
dividendo l’Italia quasi in due parti, di cui l’una ignora che cosa sia la perniciosa[2].
Di
certo, dal documento del 1269 non si evince il tipo di malattia dalla quale
erano oppressi gli abitanti del piccolo casale di Cervarezza. La testimonianza
documentaria specifica che, qualora gli abitanti fossero rimasti in quel luogo,
non sarebbero vissuti per molto tempo a
causa dell’aria infetta. A re Carlo fu chiesta l’autorizzazione a spostarsi in
un luogo più in alto con aria pura. Questa malattia colpiva uomini e donne
ma specialmente i bambini. Quando le conoscenze mediche non erano avanzate come
lo sono oggi, la paura del contagio non era solo verso gli uomini o alcuni
animali, tipo il topo, ma si temeva che il morbo si potesse espandere anche
attraverso gli indumenti, l’aria o uno sguardo. La scelta di andare ad abitare
più in alto e dove l’aria è salubre, farebbe sospettare che si potesse trattare
di malaria. L’unica certezza che abbiamo è che Cervarezza scomparve dalla scena
della storia e non fu più costruita
altrove o ripopolata[3]: questo è il motivo che,
al contrario, fa sospettare che non si trattasse di malaria.
Non
si può affrontare lo studio verso una epidemia del passato con lo sguardo di
noi uomini contemporanei e con le nostre pratiche: bisogna saper comprendere i
saperi di ogni particolare periodo e la diffusione della conoscenza. Il
ricorrere alla scienza per attenuare le difficoltà e i disagi che provengono
dalla Natura è delineato in molti autori sin dall’età classica. Ad esempio, la
salubrità dell’aria di una località fa salire il prezzo di quell’appezzamento
di terra, non basta che il terreno sia fertile se si devono fare i conti con la
morte, “ la salubrità di un luogo che dipende dalle condizioni climatiche e da
quelle del suolo, non è in nostro potere ma in quello della natura, in maniera
tuttavia che molto dipende da noi il poter alleggerire con la nostra cura gli
inconvenienti più gravi … bisogna anche
badare che non ci siano zone paludose … perché vi si formano dei microbi, che
non si possono vedere a occhio nudo (animalia quaedam minuta, quae non possunt
oculi consequi …), ma penetrano nell’organismo attraverso la bocca e il naso
con la respirazione, e causano gravi malatie”[4]. Mario Terenzio Varrone
nel De Re Rustica anticipava molte
scoperte mediche delle età successive e cioè la presenza di microbi che diffondono
virus e malattie: colorita e presente in molti autori, come Plauto e Varrone ma
anche Lucrezio e Orazio, l’espressione ubi
ratio cum Orco habetur, dove Orco
viene definita la morte con cui bisogna fare i conti.
Bisogna
precisare che, molto spesso, le fonti restituiscono notizie di epidemie legate
ad avvenimenti cosmici ma anche ai terremoti. Ad esempio, e considerando solo
il Meridione d’Italia, fra il 531 e il
599 la famosa peste di Giustiniano fu accompagnata da grandi “turbazioni
cosmiche e terremoti”[5]; fra il 10 e il 15 agosto
del 746 ci furono “tenebre fitte” e, in quello stesso anno, la peste colpì la
Sicilia e la Calabria[6], il 18 gennaio del 747 molti
terribili terremoti colpirono il Medio Oriente. Nel 767, la peste vocatur inguinaria colpì le regioni
meridionali portata dall’Oriente dagli eserciti di Saraceni che, in quel
periodo, invadevano il Mezzogiorno italiano. Fra gli anni 866 e 867, l’imperatore
Ludovico chiama in soccorso il fratello Lotario per combattere i Saraceni che
occupavano il Ducato di Amalfi: Lotario portò la peste con il suo esercito ma
nell’aria vi era uno strano calore che provocò dissenteria e molti morti[7]. Il 10 agosto dell’869,
Lotario moriva di peste a Piacenza[8]. Nell’873, a Benevento e
Salerno, vi fu un grande flagello di cavallette e bruchi e la carestia fu
presente in tutta Italia[9]. Nel mese di maggio del
949, vi fu una grande pestilenza nel Principato di Salerno e Benevento e molti
luoghi furono distrutti[10], fra gli anni 1005 e
1007, ci furono 9 mesi di siccità molto grave con fiumi totalmente in secca e
una pestilenza molto cruenta colpì gli eserciti dei Saraceni che combattevano
fra la Calabria e la Puglia[11].
In
uno studio molto recente di Ilaria La Fauci si mettono a confronto le fonti che
parlano di peste e terremoti e che attribuiscono l’epidemia all’aria insalubre:
“… la teoria aerista era ben conosciuta e saldamente creduta negli ambienti
medievali, si insinuava in ogni circostanza che presupponesse un’analogia tra eventi
che accadevano sia in natura sia nell’uomo”[12]. La studiosa si occupa,
in particolare, della Peste nera della metà del XIV secolo ma come si può
notare dalle fonti sopra riportate, queste teorie vi erano anche nei secoli
precedenti. Si credeva che attraverso l’influsso degli astri, si
scatenavano i terremoti che squarciavano la terra per far uscire terribili
miasmi; questi vapori maleodoranti e interni della terra rendevano l’aria
insalubre e provocavano la peste[13].
Nella
seconda metà del XIII secolo, cominciò un gravoso spopolamento del Mezzogiorno
d’Italia ma anche dell’intera Europa: una distruzione improvvisa o violenta di un centro
abitato era causata,
molto spesso, da fenomeni naturali come i terremoti o le
frane o da epidemie che finivano con il fiaccare completamente centri che si
trovavano già in situazioni di regresso economico e di calo demografico.
Quando
una epidemia riusciva a espandersi nell’intera Europa o nel mondo allora
conosciuto, diventava una pandemia che colpiva, nel giro di alcuni anni, tutti
i territori europei: magna pestilentia et ante inaudita vastavit
pene universum mundum[14],
questo scrive una fonte nel 1224, e ci fa intendere che una epidemia così
virulenta, come non si era mai vista, colpì l’intero mondo, il mondo allora
conosciuto
In
quel periodo, di malattie molto virulente ve ne erano tante: nota è l’epidemia
che colpì nel 1227 gli accampamenti di Federico II. Risulta molto interessante
e inusuale il modo nel quale questo episodio della vita dell’imperatore svevo
viene tramandato da Alfonso Corradi (1833-1892), medico e rettore
dell’Università di Pavia, attraverso un uso sapiente delle fonti storiche :
In quest’anno finalmente l’imperatore
Federigo II si risolve a compiere il voto, già fatto da due anni, di muoversi
in soccorso di Terra santa. Da ogni parte d’Europa convennero nella Puglia nei
mesi di Maggio, di Giugno, e di Luglio una moltitudine di pellegrini, per poi
imbarcarsi a Brindisi ma “tacti ingenii morbo, gravissimis languoribus et
infirmitatibus perpessi, innumerabilis sunt perempti et sepulti”: più di tutti
poi soffersero i Tedeschi non avvezzi a cielo si caldo, ed anche perché
“sentium potu frigidi simorum vinisque austeris domi usu, illic nullam similem
fontanam aquam, vinosissima et calidissima vina tantum reperiebant”. Di questa
sventura fu incolpato Federico: moltissimi per questo se ne tornarono indietro;
imbarcatisi gli altri, e mandatili innanzi, tenne lor dietro l’8 settembre lo
steso Federigo, e venne con Lodovico Langravio di Turingia; ma in Otranto
questi moriva, e l’altro sorpreso da malattia non proseguì il viaggio. Parve
codesta malattia, specialmente a Roma, una nuova finzione dell’astuto principe,
il quale senz’altro fu dal Pontefice Gregorio IX scomunicato. Anno 1228 …
Benchè colpito da anatema l’imperatore Federico salpò da Brindisi nel mese
d’Agosto, con scarsa flotta, alla volta di Acri, gloriandosi di dover
combattere a un tempo i fulmini di Roma e le armi saracine. Ma in questa
crociata furono più spesso adoperati gli ambasciatori che i soldati; e
l’accordo di pace fra il Sultano del Cairo e l’Imperatore tedesco da ambedue le
parti fu considerato empio e sacrilego, perciocché mentre Gerusalemme tornava
a’ Cristiani, i Mosulmani conservavano nella Città santa la Moschea d’Omar: e
veramente quest’esempio di religiosa tolleranza nel secolo XIII era prematuro,
né in altro modo poteva essere accolto[15].
Dalla
metà del XIV secolo e per quasi 100 anni, l’Europa dovette fare i conti con la
peste definita nera. Nel 1345, una fonte ci tramanda che vi era in Sicilia magna pestis et mortalitas.
Il 28 marzo di quello stesso anno, Giovanni Vasari descriveva una congiunzione di Saturno, di Giove e di
Marte in Acquario che definiva malvagia[16] ma la descrizione di
quella feroce peste che lo portò alla morte si trova nelle pagine successive
“Nel detto anno MCCCXVI grande pestilenzia di fame e mortalità avvenne nelle
parti di Germania, cioè nella Magna di sopra verso tramontana, e stesesi in Olanda,
e in Frisia, e in Silanda, e in Brabante, e in Fiandra, e in Analdo, e infino
ne la Borgogna, e in parte di Francia; e fu sì pericolosa, che più che’l terzo
de la gente morirono, e da l’uno giorno a l’altro quegli che parea sano era
morto. […] Allora le terre affogarono sì [per le piogge], che più anni appresso
quasi non fruttarono, e corruppe l’aria. E dissono certi astrolaghi che la
cometa ch’aparve dinanzi nel MCCCXIII fu segno di quella pestilenza”[17]. Da altra fonte
conosciamo che nel 1312 la peste fu trasportata dagli eserciti dell’imperatore
Arrigo nel Regno di Napoli e che nel 1313 tota
illa aestate fuit morbus maximus per totum Italiam: a Brescia, in un mese,
morirono settemila persone[18].
La
peste bubbonica continuò a mietere morti in più ondate: a maggio del 1382, alla
sua quarta ondata, provocò ventisettemila vittime a Napoli e l’esercito
angioino fu decimato. A giugno del 1384, re Carlo si ammalò a Barletta ma di
una malattia “che scorticaro come serpi”: probabilmente si trattava di
scarlattina[19].
Ad Aprile del 1422, la peste ricomparve a Napoli e durò fino a Settembre: fino
al 1425 fu presente in Sicilia e, nuovamente, a Napoli[20].
Una
fonte del XVII secolo, descrive queste ondate di peste anche nella città di
Potenza: “anno 1413 - Da principio di quest'anno, conforme
racconto di straggia Universale per tutto il Regno, ma particolarmente della
Città di Potenza, nella quale morirono assaissimi Cittadini, onde andò la Città
quasi che desolata, con tutto ciò stimo, che questa Peste, che fu detta delle
ghiandole, non fusse stata maggiore di quella, che è stata gli anni passati in
Regno, ove nella sola città di Napoli, ne sono morti settecento mila, nella
vicina terra d'Anzi due mila e più anime, appena ne restarono Cento. Mi
persuado, che quella fusse stata meno Fiera di quest'ultima, poichè dalle molte
scritture, che ho letto, vedo in què anni, si faceva dagli appestati testamento
e molti contratti di compra ... con vilissimo prezzo, non mi porge meraviglia,
essendo più che vero, che disprezza ogni cosa al mondo, colui, che sa dover fra
poco morire, ... 1430 Andava anco serpendo in questo tempo la già detta Peste
delle ghiannole…”[21].
Questa fonte risulta particolarmente interessante perché mette in evidenza,
in maniera molto precisa, come una epidemia procura un grave problema sanitario
ma anche sociale ed economico: dagli
atti notarili di compravendita, il cronista potentino percepisce che il costo
delle case e delle terre era molto basso poiché la città era spopolata e i
pochi abitanti rimasti non davano importanza ai loro beni materiali. Gli appestati stilavano i loro
testamenti perché il morbo era
irrefrenabile . La peste definita delle
ghiannole era, di certo, la peste bubbonica che, dopo aver spopolato quasi
del tutto la città di Potenza nel 1413 e ad aver lasciato nella vicina Anzi
solo 100 abitanti – e ve ne erano 2000 -, ritornò con una nuova andata nel 1430
ma dall’espressione “andava ancora serpendo” si comprende che il morbo era meno
virulento e, dunque, meno pericoloso.
Questa descrizione del cronista potentino è simile a quella di Giovanni
Vasari per la prima ondata fiorentina di peste fra il 1347 e il 1350 “tutti
quasi morirono, e corruppono sì l’aria dove arivavano, che chiunque si riparava
co lloro poco apresso morivano. Ed era una maniera d’infermità, che non giacia
l’uomo III dì, aparendo nell’anguinaria o sotto le ditella certi enfiati
chiamati gavoccioli, e tali ghianducce e tali gli chiamavano bozze, e sputando
sangue. E al prete che confessava lo ‘nfermo, o guardava, spesso s’apiccava la
detta pistilenza per modo ch’ogni infermo era abandonato di confessione,
sagramento, medicine e guardie”[22].
Ma
mortale non era solo la peste!
Simile
al Covid19 che ha colpito l’intero pianeta fra l’Inverno e la Primavera del
2020, pare essere una epidemia che iniziò nell’Inverno del 1504. “…ci chominciò
cierte tosse, di maniera che davano la febbre, perdevasi el ghusto,e si
cominciò a medicarle come altri freddi”, colpisce in queste parole il progresso fatto dalla medicina nel
XVI secolo ma anche la somiglianza con il Corona virus. Si curava con la
liquirizia e la pasta fatta di farina d’orzo e di zucchero “buona a mollificar
la tosse cagionata da infreddatura”. All’inizio morirono alcune persone più
anziane “e non ci fu medicho la sapessi mai trovare la vera ricetta attale
malattia; cheffù una influentia … che non ci fu mai Medicho le sapessi
ghuarire, benché molte cose sperimentassimo e chosì fu di questa tossa. Effù
questa tossa in principio a Roma, dove ne morì assai e cierchò tutta litalia, e
fuora dell’Italia”[23].
La
perdita del gusto, la morte degli anziani, il riconoscere il morbo come una
influenza o infreddatura inizialmente, la precoce diffusione che la trasforma
in pandemia, la difficoltà dei medici che si trovavano di fronte a una malattia
sconosciuta, ci porta a paragonare questa epidemia di inizio XVI secolo all’attuale
pandemia.
L’arrivo
del Corona virus e l’epidemia di Covid -19 ci ha colti impreparati. Eravamo
impreparati nelle strutture sanitarie che non erano pronte ad accogliere in
cliniche e ospedali un numero così alto di malati ma eravamo impreparati anche
psicologicamente. Un uomo del XXI secolo ritiene che le pandemie e/o le
epidemie siano eventi calamitosi del passato e ha la convinzione che non possano appartenere a una società con
conoscenze mediche avanzate. Si aggiungano i grandi progressi tecnologici e la
nascita di Internet: la comunicazione tramite i mass media e l’essere
interconnessi, sempre, con la rete e i social network ci ha fatto credere che
eravamo immuni da epidemie e pandemie. Si ritiene non sia un caso che si chiami “Immuni” l’applicazione per smartphone
che ci avrebbe consentto di sapere in tempo reale se siamo nelle vicinanze di
un malato di Covid-19.
E
colpisce una espressione usata dal pontefice Francesco in riferimento alla
nostra incredulità a essere in mezzo a una pandemia nel XXI secolo : il 27
marzo 2020, in una piazza San Pietro senza fedeli e completamente vuota, veniva
esposto il crocifisso ligneo di San Marcellino al Corso del XIV secolo e che salvò Roma e i romani
dalla peste del 1522. Trasmessa in diretta TV, resta indimenticabile l’immagine
di papa Francesco solo in piazza San Pietro che, durante il suo discorso, esclamava
“Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato” con un esplicito
riferimento alle colpe dell’uomo che ha inquinato il pianeta e ha reso se
stesso vulnerabile[24].
Ma
questa incredulità dell’essere umano di trovarsi a vivere durante un’epidemia
non appartiene solo all’uomo del XXI secolo: Francesco Petrarca ci ha lasciato
un testimonianza emblematica “ La peste noi conoscevamo per nome e per averne
lette le descrizioni ne’ i libri. Ma una peste universale venuta per distruggere
il genere umano né veduta, né letta, né udita ci venne mai: ed ecco già da
venti anni noi l’abbiamo vista invadere tutti i paesi, per modo che sospesa
forse e latente si rimase in qualche luogo, ma in nessuno fu estinta: e ogni
giorno la vediamo tornare donde la credemmo partita, e ci assale dopo averci
ingannato con breve gioia: prova, come io credo, della costante ira celeste e
della ostinata perversità degli uomini; che se una volta cessassero dai loro
delitti, o ne diminuissero il numero, diverrebbero forse più miti le vendette
di Dio”[25].
L’incredulità
si manifesta anche nella perdita della memoria di alcune pratiche religiose
legate alle epidemie e si riscontra, ad esempio nella città di Potenza. Non vi
è più l’usanza di portare in processione fra le strade della città la reliquia
del Preziosissimo Sangue di nostro Signore Gesù Cristo. Questa reliquia
proveniente dalla Terra Santa era conservata, dal 24 settembre del 1284, nella
chiesa di Sant’Antonino di Saponara; nel 1647, il vescovo di Potenza
Bonaventura Claverio chiese ai canonici di Saponara di poter avere una parte di
quella reliquia e portarla nella città di Potenza. Il vescovo Claverio decise di conservare la
preziosa reliquia nella chiesa potentina di Santa Maria del Sepolcro proprio
perché la fondazione di questa chiesa e la sua stessa titolazione erano
collegati al sepolcro di Gesù Cristo in Terra Santa, luogo dal quale proveniva la
reliquia. Cominciarono lavori di restauro e fu costruito un grande altare per
la conservazione sicura di una tale preziosa reliquia. Il 4 giugno 1656, con
una solenne processione dalla cattedrale potentina, la reliquia fu portata nel
nuovo altare costruito di proposito all’interno della chiesa di Santa Maria del
Sepolcro: ci vollero 9 anni di restauro per consentire il trasporto della
reliquia ma questo spostamento non
avvenne casualmente. Il 1656 fu l’anno della grande peste del Regno di Napoli e
un documento inequivocabile del Mastrogiurato della città di Potenza, il dottor
Francesco Centomani, conferma tale ipotesi:”Io doctor Francesco Centomani
Mastrogiurato della Città di Potenza, tanto in mio nome e parte di detta Città,
e suo Reggimento, quanto dei miei successori
nell’officio e Reggimento predetto entrantino, fò voto e prometto ogni
anno nel dì del Venerdì Santo, purchè non vi sia legittimo impedimento, tanto
io quanto li miei successori di detto officio, con altri magnifici del
Reggimento ed uomini di detta Città d’accompagnare, ed avremo d’accompagnare la
Processione Generale da farsi dal Clero secolare e regolare a questa venerabile
Cappella del SS.mo sangue di Nostro Signore Gesù Cristo edificata per detto
Ill.mo e Rev.mo Mons. Fra Bonaventura Claverio, da intervenire ed intervenimmo
nella processione da farsi ogn’anno al Venerdì Santo, nel modo, ut sopra, di
detta reliquia … qual voto et pro missione esso Mastrogiurato, in nome di tutta
la città lo fa, acciò nostro Signore Iddio per il merito del suo Preziosissimo
Sangue si degni di liberare questa città e tutto il Regno dal male contagioso”[26].
Da questo momento e fino
a metà del XX secolo la devozione per questa reliquia è attestata e anche la
processione e la festa del Preziosissimo Sangue fu organizzata. Oltre la peste,
la preziosa reliquia fu portata in processione anche in momenti di particolari
difficoltà come quello dell’agosto del 1773 poiché pioveva ininterrottamente da
due settimane con lampi e tuoni al punto che le coltivazioni rischiavano di
andare in rovina completa. Appena iniziò la processione con il calice che
conteneva la reliquia cessò “ la folgora, la pioggia, il tuono, il lampo”.
[2] G. Fortunato, La Badia di Monticchio, Venosa 2014,
pp.104-105.
[3]A. Pellettieri, Borghi nuovi e centri scomparsi, in Storia della Basilicata, a cura di C. D.Fonseca, Bari-Roma 2006, pp.132-164.
[4] A. Salvatore, Scienza e poesia in Roma. Varrone e Virgilio,
Napoli 1978, pp.19-20.
[5] Annali delle epidemie occorse in Italia
dalle prime memorie fino al 1850 scritti da Alfonso Corradi: dalle prime
memorie fino al 1850, Bologna 1865, Tomo primo, pp.132-133.
[6] Idem, p.73.
[7] Idem, p.81.
[8] Idem, p.82.
[9] Idem.
[10] Idem, p.87.
[11] Idem, .92.
[12] I. La Fauci, Terremoti e peste: una strana correlazione, in “Humanities” ( Anno VIII, Numero 15,
Giugno 2019), p.116. La studiosa specifica che “Questa congettura, nota con il
nome di “teoria aerista”, ha creato un’abbondante letteratura cronachistica e
medica che finora è stata esiguamente esaminata: è pur vero che in molti casi
la correlazione emerge, attraverso la narrazione consequenziale dei due eventi,
in una semplice identificazione di causa – effetto in terremoto – peste; ma
nonostante ciò ci sono anche testi che discutono esplicitamente tale
accostamento. I testi medici ovviamente descrivono in primo luogo il morbo
pestilenziale, ma si riscontrano anche sezioni dedicate al contagio in cui
affiora la derivazione dai fenomeni sismici”, p.104..
[13] K. von Megenberg, Tractatus
de mortalitate in Alamannia, in Pestchriften
aus den erstern 150 Jahren nach der Epidemie des «schwarzen Todes» 1348, a
cura di K. Sudhoff, in “Archiv fur Geschichte der Medizin” ( n° 11, 1919 ), pp.
44-51. Si
consulti anche Le calamità ambientali nel
tardo Medioevo europeo: realtà, percezioni, reazioni, in Atti del XII
Convegno del Centro studi sulla civiltà del tardo Medioevo (S. Miniato 31 maggio - 2 giugno 2008) a cura
di M. Matheus, G. Piccinni, G. Pinto, G. M. Varanini, Firenze 2010.
[14] Scriptorum rerum austriaca rum plurimam
partem nunc primum editorum, edidit R.D.P. Hieronimus Pez, Lipsia 1730,
Tomo I, p.452.
[15] Annali delle epidemie occorse in Italia cit.,
Tomo primo, pp.132-133.
[16] Annali delle epidemie occorse in Italia
cit., Tomo primo, p.186.
[17] I. La Fauci,
cit., p.105.
[18] Annali delle epidemie occorse in Italia
cit., Tomo primo, pp.167-168.
[19] Idem, p.235.
[20] Idem, pp.264-270.
[21] R. M. Abbondanza
Blasi, Storia di una città. Da un
manoscritto dlla seconda metà del sec.XVII, Slerno 2000, p.273.
[22] Giovanni Villani,
Nuova Cronica, tomo III libro XIII cap. LXXXIV, pp. 1577-1579.
[23] Annali delle epidemie occorse in Italia
cit., Tomo secondo, pp. 6-7.
[24] http://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2020/documents/papa-francesco_20200327_omelia-epidemia.html
[25] Seniles, X,2, Petrarca, in Letteratura Italiana della Nuova
Accademia, a cura di Ugo Dotti, Milano 1964, pp.88-94.
[26] Per una
trattazione completa su questa reliquia mi permetto di segnalare A. Pellettieri
– A. Rubino, Tra il Casale e la Città. Santa Maria del Sepolcro di Potenza e la
vicenda di Frati Minori in Basilicata, Foggia 2016, pp.85-99.
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