Il Beato Domenico Lentini, santo della ‘quotidianità straordinaria’
Domenico Lentini discepolo fedele, Zelante sacerdote ed umile profeta, rivela ancora al mondo l’altissimo valore di chi in Dio confida e a Lui si abbandona.
Intimamente
legato al popolo, perché amava i poverelli
con fede ardente e amor, chiamandoli fratelli e figli del suo cor e
che …quanti
padri e figli ei fe pacificare, e quanti cuori afflitti ei seppe consolare.
L’essenza
del ricordo di questo santo sacerdote, vissuto tra la fine del 1700 e gli inizi
del 1800, si concentra in queste parole dei canti popolari conosciuti a Lauria
e nel circondario
Il
ricordo della sua vita, degli innumerevoli carismi di cui era dotato, dei
tanti episodi ricchi di pietà e carità, dei tanti miracoli attribuiti alla sua
intercessione, tramandati di bocca in bocca, sono ancora vivi e narrati come
attuali tra la quasi totalità dei suoi conterranei.
Racconti
che formano una raccolta che si potrebbe definire “I Fioretti del Beato
Domenico”, i fioretti di un Santo di paese, un santo della “quotidianità
straordinaria”, un Sacerdote capace di incarnare la sua missione e che il Papa
Pio XI definì: Sacerdote sine adiunctis,
ricco solo del suo sacerdozio, precursore
del santo Curato d’Ars, venuto per divina disposizione a partecipare all’Italia
Meridionale quelle grandi ricchezze di cui il Cafasso, Don Bosco, il
Cottolengo, il Murialdo arricchirono l’alta Italia.
Un
sacerdote, senza aggiungere altro. Eppure, Domenico Lentini alla sua vita
aggiunse molta altra vita.
Domenico Lentini quinto figlio di Macario e Rosalia Vitarella nacque a Lauria il 20 novembre 1770, in una famiglia semplice, non benestante, onesta, particolarmente religiosa e di sani principi.
Il
piccolo Domenico apprenderà proprio dalla mamma una devozione vera e sincera
verso la Madonna, con la mamma iniziò a frequentare sin da piccolo la cappella
dell’Armo dedicata alla Madonna Assunta in cielo.
Ancora
in tenera età rimase orfano di madre e continuò a vivere con le sorelle, il
fratello ed il padre, nella piccola ed umile casetta in vico San Vincenzo
(distrutta dal bombardamento del 7 settembre 1943), dove trascorse tutta la sua esistenza, ed esalò il suo ultimo
respiro.
Ragazzo
di carattere allegro, vivace, condivideva con i suoi coetanei i giochi, le
attività proprie della fanciullezza e soprattutto si dedicava volentieri allo
studio e ben presto si fece notare per il suo attaccamento alla preghiera, alle
pratiche religiose, alla frequenza assidua alla parrocchia e al catechismo. Cresceva
con un carattere docile e paziente, che lo rendeva obbediente verso i familiari
e amabile verso tutti.
Proprio
in questo periodo sentì la chiamata verso il sacerdozio che caratterizzerà poi
tutta la sua vita e fu subito sostenuto
da papà Macario che, sebbene le condizioni economiche non lo permettessero, si
impegnò anche a costo di indebitarsi a che la vocazione del figlio diventasse
realtà.
Appena
quindicenne indossò la talare ed incominciò a studiare per diventare prete,
ancora con maggior frequenza era in chiesa per la messa e le funzioni
liturgiche e intraprese l’insegnamento del catechismo ai ragazzi della
parrocchia, tutto faceva con umiltà e dolcezza.
A
21 anni fu ammesso al seminario di Policastro (Sa) ed anche qui divenne ben
presto modello dei suoi compagni per il suo comportamento e la sua obbedienza
verso i superiori.
Nel
settembre del 1793 fu ordinato diacono e fu inviato a Lauria su richiesta dei
suoi compaesani, i quali già avevano imparato a conoscere ed a considerare
diverso da tutti gli altri sacerdoti. Gli fu concesso di dedicarsi
all’educazione ed istruzione di ragazzi e giovani.
Il
giovane diacono intraprese subito il nuovo incarico con entusiasmo, dedicandosi
non solo alla formazione intellettuale dei giovani ma anche a quella religiosa,
per la quale fu non solo maestro, ma soprattutto testimone con il suo
comportamento.
Con
i suoi studenti era sempre presente alla messa, al vespro, al santuario
dell’Aspro, al convento dei frati cappuccini. Per i suoi giovani non solo era
insegnante, ma amico, confidente, guida e fratello.
Domenico
non pretendeva nessuna paga, accettava quel tanto che gli bastava a venire
incontro al padre per ripagare il suo debito, dagli alunni delle famiglie
povere non accettava niente e molte volte ospitava coloro che venivano da più
lontano.
Perseverando
nello studio e soprattutto con uno stile di vita che lo rendeva sempre più visibilmente
solerte nel cammino verso la santità, si concretizza l’agognato momento
dell’ordinazione presbiterale. L’assenza del Vescovo nella sede di Policastro costringerà
il diacono Lentini a spostarsi a Marsico Nuovo: il viaggio a quei tempi,
abbastanza lungo, avrà una tappa a Moliterno, dove il Lentini venne ospitato da
una famiglia nobile in un palazzo nei pressi della Chiesa Madre. A Moliterno
nel ricordare questo episodio si racconta che Domenico Lentini passò la notte
inginocchiato sul pavimento, pregando in preparazione della giornata che lo aspettava.
La mattina la serva della famiglia che lo ospitava, inviata a rassettare la
stanza, trovò il letto intatto.
La
mattina dell’8 giugno 1794, domenica di Pentecoste a Marsico Nuovo per l’imposizione
delle mani del vescovo Bernardo Latorre, Domenico Lentini fu ordinato
sacerdote.
Nel
viaggio di ritorno don Domenico non ritornò presso la famiglia di Moliterno che
lo aspettava, ma si fermo in una casa di campagna dove trascorse la notte in
preghiera per il dono del sacerdozio che aveva ricevuto, forse l’accoglienza
troppo ossequiosa e le troppe gentilezze ricevute dai signori moliternesi lo
avevano messo in difficoltà.
Il
giovane prete iniziava il suo ministero sacerdotale in una maniera particolare,
in un contesto sociale non facile, in un tempo contrassegnato da divisioni e
contese, di rivolte e ribellioni, di repressioni e spargimento di sangue. In
questo contesto egli cercò in tutti i modi di portare pace e concordia. La sua
opera pacificatrice e il suo zelo nell’aiutare i bisognosi si dimostrò in modo
particolare nelle difficili situazioni del 1799 e soprattutto nel 1806, quando
nei terribili giorni di inizio agosto furono trucidate più di 1000 persone ed
incendiate case e chiese dai francesi dell’esercito napoleonico per punire
Lauria rimasta fedele alla monarchia borbonica.
Anche se don Domenico non aveva contribuito a migliorare la condizione economica familiare (si, aveva fatto fronte ai debiti, ma dalla casa era più quello che toglieva per darlo ai poveri che quello che portava), papà Macario era contento di aver sostenuto la vocazione di suo figlio. Gioiva per come Domenico portava avanti la sua missione e di come il popolo di Lauria lo stimava e lo teneva in grande considerazione: non era un prete come tanti altri che in quel periodo componevano il clero di Lauria. La gioia del papà non fu particolarmente lunga perché andò ben presto a raggiungere sua moglie in cielo.
Nella
casetta di via san Vincenzo rimasero solo Domenico e la sorella Antonia che lo
accudì fino alla morte, un altro fratello e le sorelle si erano sposati,
Antonia ebbe l’onere e l’onore di stargli vicino e di essere testimone di tutta
la sua santità,
Il
Lentini celebrava la sua Messa nelle cappelle di San Vincenzo o di San Pasquale
o in Parrocchia. Lunga era la preparazione alla celebrazione, ogni Messa per lui
era come se fossa la prima. Molto tempo dedicava al ringraziamento. Lunga e
solenne era la celebrazione. Lui appariva come in estasi, assorto e
trasfigurato nel mistero che celebrava.
Nel
rapporto con Gesù Eucarestia si esprimeva tutta la sua fede, dialogava con Gesù
come una persona presente, adorava il Santissimo Sacramento davanti al quale rimaneva
genuflesso profondamente. Nelle sue prediche o catechesi non mancava mai il
riferimento all’Eucarestia.
Amministrava
il sacramento della Penitenza ascoltando quotidianamente e per tanta parte
della giornata, non mostrava mai eccessiva severità verso i penitenti, si
poneva con delicatezza, con dolcezza e affabilità verso chi si presentava al
confessionale, evitava chiacchiere inutili, ma esortava, consigliava, metteva
il penitente a suo agio, molte volte con la frase “io avrei potuto fare
peggio”.
Il
suo modo di fare gli procurò anche delle calunnie e delle accuse, riportate al
vescovo da parte di un suo confratello. Ben presto la verità venne a galla con
grande confusione per l’accusatore.
La
predicazione fu un altro suo carisma, la sua predica era sempre curata nei
minimi particolari. La peculiarità della sua predicazione era la credibilità:
agli occhi dei fedeli era credibile perché annunciava ciò che lui stesso
viveva.
Tutti
lo ascoltavano con attenzione e con piacere, dai vescovi ai sacerdoti, dai
religiosi alle monache, dai sapienti agli ignoranti, la sua predica era
incarnata nella vita quotidiana.
Famosi
i suoi quaresimali, si recava dovunque chiedevano la sua presenza per
annunziare la parola.
Tante
comunità lo hanno ospitato come predicatore, oltre che a Lauria la sua presenza
come predicatore si svolse in varie parrocchie come Rivello, Trecchina, Latronico,
Lagonegro, Moliterno, Ispani, Sapri, Castelluccio e tanti altri ancora.
Alla
fine della predicazione era difficile fargli accettare un compenso che poi
difficilmente arrivava nella sua casa, tanti sapendo come si comportava
facevano giungere qualche denaro direttamente nelle mani della sorella.
Una
vita impegnata in questo modo, senza sosta e con impegno nella società per insegnare,
per promuovere la preghiera, condividere canti, far conoscere devozioni verso i
santi (ebbe una devozione particolare che estese in mezzo al popolo di Lauria
per la Madonna Addolorata che gli rammentava la passione del Signore.)
Il
14 febbraio del 1828, dopo aver fatto adorazione, genuflesso a terra, davanti
al Santissimo Sacramento esposto solennemente per le quarantore, tornò in casa non
sentendosi bene. Fu preso da uno strano delirio, il 16 febbraio fece la sua
confessione generale con il nipote prete don Venanzio Sarubbi, in seguito fu
visitato dai medici che diagnosticarono una infiammazione alla meninge, curata
con bagni in acqua gelida e salassi, cure che non sortirono nessun effetto se
non quello di peggiorare le condizioni,
Chiese
più volte la Comunione che non le fu portata perche si pensava a una malattia
passeggera, gli fu amministrata l’unzione degli infermi e fino alla sera del 24
le condizioni peggiorarono sempre di più, mentre continuava a pregare e ad
esortare i presenti, nelle prime ore del 25, don Domenico Lentini morì. Per lui un volo verso il
Paradiso.
Intanto, era partita una petizione popolare per il Vescovo di Policastro per chiedere il permesso di seppellirlo in Chiesa,
Il messo del Vescovo rientrò con la proposta accettata, e la sera del 3 febbraio 1828, dopo un ultimo saluto da parte del popolo il Delegato vescovile fece chiudere la bara e si procedette alla sepoltura nella chiesa parrocchiale di San Nicola. Da quel momento tanti prodigi e grazie si narrano, avvenute per intercessione del Lentini. Il Beato Domenico continua a spargere il bene a chi glielo richiede.
Il legame tra Lauria e Domenico Lentini non si chiuse con la chiusura delle sue spoglie mortali. Emblematico il racconto di un momento particolarmente doloroso, il 7 settembre del 1943: molte persone, quando si resero conto che ci sarebbe stato un bombardamento, chiesero il soccorso del loro santo, pensando di rifugiarsi presso la casa del Lentini per ripararsi dalle bombe. La convinzione di queste persone era che fra quelle sante mura le bombe non avrebbero fatto devastazioni. Mentre si accorreva verso la casa eletta a nuovo rifugio antiaereo, stranamente, non si riuscì a trovare la chiave nel posto dove veniva conservata di solito. Il bombardamento incombeva e tutta quella gente cercò altri rifugi. Pochi minuti dopo la casetta fu disintegrata da una bomba.
Quale
fu la mano che tolse la chiave perché non fosse trovata? I suoi devoti ne sono
convinti, fu proprio la mano del Beato a far scampare quel pericolo ai suoi
concittadini.
Antonio Rubino
Articolo pubblicato su IVL24: https://ivl24.it/il-beato-domenico-lentini-santo-della-quotidianita-straordinaria/
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