Nel Presepe di San Francesco la nostra storia e il Natale di Gesù
Il
Natale sta perdendo il suo fascino? L’ho letto da qualche parte… non si sente la magia del Natale quest’anno.
Il Natale nulla ha di magico, ma forse del Natale abbiamo perso la
bellezza, incartata in cellophane colorati di un consumismo senza freni. Però,
anche questo rischia ormai di essere banale. Più che il fascino, stiamo
perdendo il senso delle cose. Anche del Natale.
Probabilmente,
il Presepe è il simbolo senza eguali del Natale. Ed oggi se ne parla divisi in
tifoserie (come certa politica propone): vietare il presepe nelle scuole perché
offenderebbe altre religioni; rendere il presepe obbligatorio nelle scuole;
allestire scene moderniste, con coppie gay e frastuono di bombe, terzomondismo
e consumismo vario. Ecco, per ciò che vediamo accadere in Palestina e per il
“senso delle cose” tutto ciò nulla ha a che fare con il Natale.
Occorre
un attimo di silenzio. La Storia ha qualcosa da dirci, poi sta a noi saper
ascoltare.
È la
notte di Natale dell’anno 1223. Frate Francesco di Assisi si trova a Greccio.
Le sue malattie progrediscono drammaticamente, egli ha appena terminato un
lungo giro di predicazione nell’Italia centro settentrionale. È provato da
lunghi cammini, probabilmente, sente che fratello
corpo non reggerà ancora a lungo. Tuttavia, Frate Francesco ha un ultimo
desiderio.
Amava
Greccio. Era un luogo molto tranquillo frequentato dai suoi minori, fuori mano, povero. Egli aveva un rifugio appartato,
sistemato nella viva roccia. Forse questa semplicità ispirò la sua intuizione.
Forse, quel suo desiderio ritornò vivo, non a caso, in questo posto. Vedere con
i suoi occhi, toccare con mano e concretamente, il momento della nascita di
Gesù a Bethlehem.
Così, nel Natale del 1223, Francesco manda
a chiamare Giovanni dominus loci del
borgo fortificato di Greccio: se vuoi che
celebriamo il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei
rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi
del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a
un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue
e l’asinello. (Tommaso da Celano, Vita prima).
La notte di Natale fu una grande festa (la
gioia del Natale non è peccato!). Accorrono frati da ogni parte e una grande
folla si raduna rischiarando la notte con ceri e fiaccole. Si prepara l’umile
scena pensata da Francesco. Il Presepe. E sul Presepe, tra il bue mansueto e
l’umile asinello (solo tra questi due animali), nel freddo della notte umbra,
si celebrò l’Eucarestia (ma non esiste Natale senza la Messa). Francesco veste
i paramenti liturgici del diacono e predica. Racconta di un Re che si è fatto
umile e indifeso, fattosi uomo per dare all’uomo la grazia. Pronunciando il
nome di Gesù, sembra gustare fisicamente la dolcezza di quel nome sulle labbra.
Mentre, pronunciando“Bethlehem” imita il belato di un agnellino. Frate
Francesco era così, ce lo aveva raccontato un cronista coevo, Tommaso da
Spalato: non predicava come tutti i sacerdoti secondo l’austeromodus praedicandi, piuttosto usava
l’arte delmodus concionandi, come nei
discorsi politici, nei comizi, anzi non disprezzava anche colpi di scena, pose
teatrali, gesti di una mimica quasi giullaresca. Il Giullare di Dio. Che
parlava di Dio.
Francesco amava molto il Natale, quella
notte esaudisce il desiderio di vedere con i suoi occhi la scena del Re
Onnipotente che sceglie la più miserabile delle condizioni per venire al mondo.
Vuole vederlo lui, vuole farlo vedere e raccontarlo agli altri. Non solo Dio
sceglie di incarnarsi, ma lo fa nell’essere più umile e indifeso che si possa
immaginare, un bimbo che nasce in una mangiatoia perché la madre, incinta, è
stata rifiutata. Un essere in balia degli eventi, senza neanche i panni per
coprirsi, incapace egli stesso di difendersi. Più del Cristo sulla Croce, che
troneggia nella sua gloria, questo bimbo indifeso deve ispirare la vita del
Frate Minore. La povertà che Francesco predica, testimonia e impone, è questa:
l’Onnipotente che per amore si fa misero. Così povero che la Sua Potenza immensa
è incarnata in un bimbo in una stalla, non autonomo, non in grado di fare
alcunché per la sua stessa sopravvivenza. Per amore. Povero di tutto, povero
anche di parole. Avremo bisogno di silenzio per capire di più.
Nel 1223 Francesco era tornato da poco
dalla Terra Santa. Nel 1219 egli si era unito alla spedizione della quinta
crociata. Senza armi, ma con un sogno. Difronte alla Chiesa che autorizzava ad
uccidere gli infedeli, Francesco era stato tra i musulmani predicando il
messaggio di pace del Vangelo. Tornato in Italia da quel viaggio, mette per
iscritto nella Regola come i frati dovevano vivere fra i musulmani. Come vi
devono vivere, dando per scontato che si possa vivere insieme senza conflitto.
Non scrive di come devono andare a litigare e a disputare, ma come vivere con
rispetto. I frati devono dire di essere Cristiani senza paure, ricordare che sono
sottomessi a ogni creatura, dunque anche ai musulmani. Se piace a Dio si creerà
così un luogo di rispetto, dove i frati possono parlare del Cristo. I frati dovranno
dare buon esempio, non imporre il loro modo di vedere il mondo:la pace.
(Quante volte, oggi, questo atteggiamento
viene scambiato per pilatesca debolezza? Quante volte, oggi, questo messaggio è
calpestato - anche nella discussione sul presepe – nella logica del dover
imporsi, vincere, avere ragione o successo? Quante volte, oggi, non servirebbe immaginarsi
tra i musulmani per riscoprire l’essenza di questo messaggio?)
Ma cosa c’entra il viaggio di Francesco in
oriente con il Presepe? Frate Francesco assiste alla crociata e rimane
orripilato dalla violenza. Nel Natale del 1219 egli è ancora in oriente e forse
desidera di poter vedere Bethlehem e vivere la il suo Natale. Allora, quella
notte a Greccio rinasce quel desiderio. Greccio è una nuova Bethlehem. Nel
momento in cui la Chiesa e quello che noi oggi chiameremmo “l’occidente”
combatteva per conquistare i luoghi santidove era vissuto Gesù, Francesco cosa
fa?Crea una Bethlehem a Greccio. Sembra voler dire non è necessario andare in
oriente per vedere Bethlehem, il luogo della nascita di Gesù è ovunque. Bisogna
avere Bethlehem nei cuori. Ma frate Francesco non può essere ridotto a una
frase da cioccolatino: bisogna avere la mangiatoia nel cuore. Egli è un tipo
concreto, il significato nuovo che Francesco porta nella rappresentazione della
natività (che non inventa lui ma già esistevano nelle chiese occidentali) è il
significato della pace, il significato profondo che egli presenta è la
spiegazione dell’amore.I biografi raccontano che quella sera qualcuno vede
nella mangiatoia un vero bambino, bellissimo, accarezzato da Francesco. Il
bambino era stato dimenticato nel cuore di molti, Francesco lo ha resuscitato.
E poi il bue e l’asino, mai nominati neiVangeli
canonici, ma presenti solo nello pseudo Matteo,un apocrifo. Prima di Francesco,
Sant’Agostino aveva detto che il bue rappresentava il popolo ebraico, mentre l’asino
i pagani, che ora mangiano nella stessa mangiatoia. Si cibano della stessa
paglia. Francesco si concentra su questo messaggio, unire nella pace. Francesco
e i suoi frati portano nel mondo un messaggio di pace e di dialogo con la
testimonianza concreta. Anche ebrei e pagani verranno a mangiare il fieno della
mangiatoia, il Verbo.
Rimeditare il Vangelo e farlo vivere nel
proprio cuore, però, non può essere solo un atto intellettuale mentre la tv ci
propone le immagini di ciò che avviene in Terra Santa. Né basterebbe indignarsi
per l’assenza di un “cessate il fuoco”. Se Bethlehem è ovunque, la guerra è
anche qui, la pace la si costruisce ovunque.
Francesco vuole toccare con mano cosa
avvenne quella notte. E nella fredda notte di Greccio, ammalato, vicino alla
morte, quasi cieco, invecchiato dai cammini e delle penitenze, trova nella
mangiatoia uno specchio. L’umiltà di chi sceglie la più abietta e totale delle
povertà; la scelta di chi si umilia per amore.
Il Presepe, grazie a Francesco, rende
materiale un mistero insondabile facendo risaltare anche la nostra incapacità di
adeguarci a questa scelta di povertà, che non è solo materiale. I nostri
limiti, che sono parte di noi.
Tra il bue e l’asinello resta un bambino
indifeso. Abbiamo detto che per Francesco fu come uno specchio. Ma lo specchio
riflette l’immagine che gli è difronte, quello specchio riflette l’amore, ed è
pericolosissimo non saperlo guardare bene, perché quell’Amore unisceil cielo
alla terra, conserva il mistero dell’Incarnazione, spiega in un sorriso di
bimbo il senso degli affanni, delle ansie e delle sofferenze dell’esistere dell’uomo.
Ma quanta bellezza riflessa in quello specchio?! la stiamo perdendo, “intenti a
nascondere quello che siamo dentro, dietro quello che abbiamo”.
articolo pubblicato su IVL24 : https://ivl24.it/nel-presepe-di-san-francesco-la-nostra-storia-e-la-riscoperta-del-vero-natale/
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