“Terre di sangue. L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin”. Nel libro di Snyder la consapevolezza di comprendere ciò che è accaduto

È ardito affermare che vi siano episodi storici che possano rappresentare e contenere gli elementi di una intera epoca. Così come, è difficile poter dire che esistano studi, ricerche, libri che univocamente, singolarmente, siano esaustivi rispetto a un fatto storico o ad un periodo. La suggestione del ‘mosaico’, che vede la storia componibile con tessere apportate da vari punti di vista è tesi altrettanto complicata. Scriveva Marc Bloch che da solo, nessuno specialista comprenderà mai nulla se non in parte, foss’anco del suo specifico campo di studi (…) la storia non può farsi se non per cooperazione.  

La tentazione di individuare schemi, metodi nuovi, o semplicemente possedere un sapere rivolgendosi a una memoria, a un punto di vista, a un manuale è sempre molto forte. Dopotutto la vita è troppo breve per poter davvero indagare tutto.

Fatta questa doverosa premessa, possiamo ora dire che esistono studi e libri che hanno la formidabile capacità di rappresentare in modo soddisfacentemente esaustivo alcuni periodi storici. Tanto da divenire punti di riferimento per addetti ai lavori, ma soprattutto per chi, profano o semplice appassionato, oppure cittadino consapevole di voler conoscere la storia, voglia comprendere “ciò che è accaduto”. È quanto possiamo dire del libro Terre di sangue. L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin, dello storico americano Timothy Snyder. Una storia di assassini di massa politici, di persone deliberatamente sterminate tra il 1933 e il 1945 in un’area geografica ben individuata che va dalla Germania alla Russia occidentale, dai Paesi baltici al nord della Romania. Ucraina, Bielorussia e Polonia, ne sono il cuore. Per questo è una storia che oggi vale la pena rileggere, senza la pretesa di dare eccessive risposte sul presente che viviamo, ma per possedere strumenti importanti nell’interpretazione dei cambiamenti della storia europea.

Sarà una cifra ad accompagnarvi nella lettura di Terre di Sangue: 14 milioni di morti. Dai contadini ucraini lasciati morire di fame da Stalin e i Kulaki morti di stenti e uccisi nei Gulag, agli ebrei sterminati nei campi di concentramento da Hitler, i numeri delle persone uccise vengono indagati con un metodo storico esemplare, valutando in modo approfondito le fonti che lo storico di Yale riesce a presentare anche al lettore non avvezzo alla materia. 

Identificando una precisa area geografica, indicandola come ‘terre di sangue’, per la prima volta questo libro (585 p., edito da Rizzoli) reinterpreta tutti gli episodi che portano alla Seconda Guerra Mondiale e quelli che la caratterizzano, allargando di molto la lente su un fenomeno ben più vasto di quello che conosciamo soprattutto attraverso la letteratura (i campi di concentramento nazisti e i gulag). E la letteratura ha un ruolo non marginale nella ricostruzione storica, perché i numeri indagati e presentati non vengono svuotati di umanità. Forse, è questa una delle caratteristiche più originali del volume dello storico americano, l’analisi storica non rinuncia a una narrazione che tiene conto della cifra umana, e il parlare di vite facendole riemergere tra date e fatti storici, non elimina la capacità del rigore del metodo storico. Si costruisce un invito al lettore a giungere al termine di un percorso nello stesso tempo illuminante (sui fatti storici) e tetro (per la crudeltà che denuncia).

Alcuni passaggi dell’introduzione curata dallo stesso autore, sono potentemente utili a descrivere lo stile e l’importanza dell’opera che, secondo The Economist, andrebbe letta e riletta. Il puro e semplice numero delle vittime può annebbiare la nostra percezione che ognuna di loro era un persona, un individuo (p.18). Al fianco di questo realismo, che porta a galla le vite e fa narrare i fatti dalla (viva) voce di chi viveva questi atroci momenti, corre il realismo di una analisi storica rigorosa, che indaga non senza meticolosa dovizia i documenti, tendendo alla verità, mettendo in guardia dai rischi di questa operazione: La verità non è altro che la convenzione del potere o i resoconti storici obiettivi resistono al peso della politica ? La Germania nazista e l’Unione Sovietica cercarono di padroneggiare anche la storia. In Unione Sovietica vigeva un regime marxisista, i cui leader sostenevano di essere gli scienziati della storia. Il nazionalsocialismo rappresentava la visione apocalittica di una totale trasformazione da realizzarsi grazie a uomini che credevano che volontà e razza potessero liberarli dal fardello del passato.

È nella lucida e chiara analisi degli antefatti che al lettore diventano chiare le ‘ideologie’. Bolscevichi e Nazisti rifiutavano la democrazia. I nazionalsocialisti tedeschi in nome di un leader che potesse esprimere la volontà della razza, i comunisti in nome di un partito che comprendesse il dettato della storia. Il problema della società moderna secondo i comunisti era il dominio di una classe come effetto di un accumulo di proprietà, per i nazisti il controllo degli ebrei del capitalismo finanziario. Per i seguaci di Hitler lo stesso comunismo era una favola ebraica. Se per i seguaci di Lenin e poi di Stalin l’ordine mondiale era fatto dagli imperialisti capitalisti, per i nazionalsocialisti tedeschi era invece ispirato da una cospirazione ebraica. La contrapposizione di queste visioni del mondo si unisce in uno ‘stile’, qualsiasi mezzo è giustificato dal fine: la rivoluzione proletaria e il controllo da parte del Partito della società e dell’ordine mondiale per i comunisti, la rivincita tedesca e l’affermazione della razza ariana a dominio del mondo a spese degli altri, per i nazionalsocialisti.

Lo sterminio nelle terre di sangue si declina, allora, seguendo queste ‘necessità’ da raggiungere, in modi diversi. Stalin auto-colonizza l’Unione Sovietica per collettivizzare l’agricoltura, fenomeno che portò alla fame e alla carestia, per le quali vennero incolpati i contadini ucraini: nei primi anni ’30 del ‘900 circa 5 milioni di contadini furono fatti morire di fame (quasi tutti ucraini). Chi sopravviveva alla morte per fame o ai gulag, venne fucilato. Così tra il 1937 e il 1938 il Terrore staliniano sterminò altre 700.000 persone giustiziandole, soprattutto contadini e polacchi sovietici.

Nel 1939 Unione Sovietica e Germania occuparono la Polonia. Entro il 1941, vennero uccisi circa 200.000 civili polacchi, circa un milione di polacchi venne deportato. In questa fase inizia, con i ghetti, l’uccisione sistematica degli ebrei da parte di Hitler.

300.000 bielorussi vennero uccisi in questi anni, giustiziati dai tedeschi mentre l’Unione Sovietica incoraggiava l’attività partigiana, così come a Varsavia, Stalin incoraggiò la resistenza polacca, restando a guardare quando 100.000 polacchi vennero uccisi. I piani di Hitler contemplavano stermini ancora più vasti, la “Soluzione finale” che doveva avvenire dopo la guerra, venne implementata al massimo dal 1941, quando i tedeschi si accorsero che non sarebbe andato tutto secondo i piani. 6 milioni di ebrei vennero eliminati, con diversi metodi, dal gas, ai lavori forzati, alle esecuzioni.

La lettura di Terre di Sangue è utile anche per aggiungere elementi alla visione dell’Europa contemporanea. Le carestie sovietiche, il terrore di classe e quello nazionale, l’Olocausto e l’antisemitismo stalinista, le pulizie etniche raccontati nel libro, vedono il loro scenario in queste terre che hanno il loro cuore nella Polonia e nella (martoriata) Ucraina.

Nella pagine finali del libro l’autore afferma scrivere è solitudine; il piacere di finire un libro è ringraziare quanti l’hanno aiutato a prendere forma. Timothy Snyder andrebbe ringraziato per questa opera poderosa a cui ha dedicato gran parte della sua vita di storico.

Antonio Rubino

articolo pubblicato su https://ivl24.it/

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